Rubriche/Cascine
Domenica 02 Giugno 2013
La corte dalle mura inespugnabili
La cascina Ceregallo sorge alle porte di san zenone al Lambro dall’esterno appare come un maniero d’altri tempi a guardia della possessione
Mi spingo sino al confine di San Zenone al Lambro, arrivando in una cascina che da tempo catturava la mia curiosità; non conoscendovi nessuno, mi limitavo ad osservarne i profili esterni: più che una corte agricola, mi appariva come un maniero, di quelli inespugnabili.Per fortuna i miei desideri hanno fatto breccia su Dina Vitali Castellotti, che da queste parti ha trascorso la sua gioventù, ed è stata lei ad accompagnarmi dalla famiglia Sudati, che qui, alla cascina Ceregallo, in una delle parti in cui è suddivisa la possessione, una volta unica e grandissima, ha dimora da oltre quarant’anni.
UN NOBILE PASSATO Lignaggio antico quello dei Sudati, diffuso nel triangolo lombardo tra Milano, Crema e Brescia. Di questa famiglia si hanno già notizie nel 1479, grazie ad un atto notarile. Nel 1653 vi è un documento sul quale risalta una lite tra Francesco e Marc’Antonio in merito ad una cessione di proprietà.I Sudati del passato sono tutti iscritti dentro il disegno di un albero genealogico, su cui scorro il dito: mi fermo ad indagare le sorti di Stefano, detto Gino, che era nato nel 1919. Erede di una dinastia di agricoltori, era stato affittuario di varie corti lombarde a Crema, Brescia, Milano, per poi fermarsi alla cascina Bustighera di Mediglia.Gino Sudati era un agricoltore capace e severo: in cuor suo sapeva probabilmente di avere ricevuto qualche torto dalla vita, ma sul lavoro aveva manifestato sempre molta passione. Era rimasto orfano di padre che non aveva ancora venti anni, insieme a dieci altri fratelli. Ciò non gli aveva risparmiato il fronte bellico, e s’era dovuto adeguare a sei anni di prigionia, durante i quali aveva contratto pure una malaria che voleva spingerlo all’altro mondo. Ma aveva la scorza dura: già quando frequentava la quarta elementare aveva imparato a mungere le vacche e conosceva la fatica ed il senso del dovere.
UNA COPPIA RISERVATA Nel 1951 Gino Sudati aveva sposato Laura Moretti, nativa di Capergnanica, anch’ella figlia di agricoltori. Pure la signora Laura aveva avuto un’infanzia difficile: era rimasta orfana della mamma all’età di dieci anni, e una volta che la sorella maggiore prese i voti religiosi, toccò a lei crescere i due fratelli più piccoli.Attraverso i loro dispiaceri personali, Gino e Laura seppero forgiare i propri caratteri: la coppia si mantenne chiusa, riservata, poco incline all’espansività, ma marito e moglie furono sempre un blocco unito, solido, forte, anche nell’impegno agricolo: la signora curava la contabilità dell’azienda, ma le decisioni lasciava che le prendesse il marito in totale autonomia; l’unica cosa che pretendeva è che il passo doveva essere lungo per quanto lo consentissero le gambe. Il signor Gino era un agricoltore versatile, che ebbe il merito di attraversare il secolo Novecento adattandosi a tutti i cambiamenti, passando dalla mungitura manuale alla meccanizzazione più all’avanguardia, e guardando con occhio sempre attento a quello che il progresso garantiva. Ma su alcuni punti si mantenne sempre coerente: prese così a detestare gli opportunisti e i voltagabbana, e tutti coloro che dopo avere stretto la mano, in virtù di un accordo sulla parola, pretendevano poi patti scritti, derogando a quelle che erano state le intese tra galantuomini. Queste cose lo rendevano insofferente, facendogli inviso un mondo che sentiva non appartenergli più.D’altra parte era cresciuto in una famiglia ricca di valori: un suo fratello, don Vito, si fece prete e finchè visse esercitò sempre il suo carisma perché la famiglia rimanesse unita; parroco di Vaiano Cremasco, morì all’età di 55 anni, improvvisamente; anche due ragazze, di quel gruppo di undici fratelli, professarono i voti religiosi perpetui.
IN CERCA DI RADICI Gino Sudati alla cascina Bustighera avrebbe voluto mettere radici: aveva una discreta stalla di vacche, finalizzate dapprima alla produzione di latte, e successivamente a quella delle carni. La cascina, in realtà, consisteva di due aziende agricole, tanto che sotto il signor Gino lavoravano 23 dipendenti. Ma alla fine degli anni Sessanta la proprietà decise di vendere e chi acquistò la cascina Bustighera aveva già al seguito il proprio affittuario.Così nel 1969, Gino Sudati si decise a compiere il grande passo: dai coniugi Lorenzetti, lui era un chirurgo, mentre lei si chiamava Gabriella Semenza, acquistò la cascina Ceregallo di San Zenone al Lambro. Sino a quella data la corte era stata condotta da Luigi Maestri e da suo figlio Ennio, che erano anche commercianti di bestiame.Gino Sudati chiese ai figli, Giuseppe, testimone di questa storia, e Giorgio, di essere immediatamente coadiuvato. Il signor Gino avrebbe voluto impostare con i propri ragazzi quello che suo padre aveva fatto con lui: imparare al più presto il lavoro dell’agricoltore. Infatti, Giuseppe a 8 anni sapeva guidare il trattore e a 12 dare ordini ai contadini e soprattutto verificarne la resa. Ma alla signora Laura quest’antifona non piacque: lei voleva che i suoi ragazzi crescessero istruiti, e così li spedì in collegio, a Bergamo, dove Giuseppe rimase sino alla maturità, mentre Giorgio vi frequentò le classi medie.
UN FIGLIO “RIBELLE“ Quegli anni furono per Giuseppe una vera palestra di vita: l’austerità del collegio lo rese ribelle, dialetticamente polemico, capace di tenere testa a chiunque. E, una volta terminata la scuola, non si piegò alla volontà paterna di riaverlo in azienda, ma pretese di continuare gli studi, e non avendo chiarissimo cosa fare, decise di seguire le sorti dei suoi amici più cari: s’iscrisse in Medicina e chirurgia all’ateneo di Pavia. Poi subentrò il giudizio: Giuseppe capì che il suo vero mondo era quello agricolo, ma essendo della razza dei testardi non volle lasciare l’ateneo e si laureò. Quindi, fresco del titolo di dottore in medicina, rientrò in azienda. Giuseppe Sudati è rimasto tale e quale quello dell’Università: un testardo che ha l’intelligenza di saper tornare, quando occorre, sui propri passi. Anche suo fratello Giorgio ha proseguito l’impegno agricolo, dopo avere frequentato per un paio d’anni il corso di Scienze dell’Alimentazione Animale.
LA DISCENDENZA Nel 1982 Giuseppe Sudati ha sposato Vanna Sangalli, originaria proprio della corte Ceregallo, zona limitrofa a questa, anch’ella figlia di agricoltori. Lei, ancora ragazzina, sospirava per quel baldo giovanotto, che ostentava totale indifferenza: in realtà Giuseppe attendeva soltanto che lei compisse i diciott’anni per poi rivelarsi.Nel 1992 i Sudati acquistarono la cascina Pompola di San Martino in Strada, dove nel 2001, a seguito della divisione degli affari tra i due fratelli, andò a stare stabilmente Giorgio.Giuseppe e Vanna Sudati hanno avuto due figli: Stefano, nato nel 1983, laureato in Pubbliche relazioni e pubblicità presso lo Iulm di Milano, e Luigi, classe ‘89, perito agrario. Entrambi i ragazzi hanno proseguito l’impegno agricolo. Il primogenito è sposato con Fabiana Rizzi, psicologa del lavoro.
IN CRESCITA L’azienda agricola ha avuto una continua espansione: il latte, prima conferito alla Galbani, viene ora dato al caseificio Angelo Baruffaldi di Novara.Nel 2004 vi è stato invece uno strano incidente: alla vigilia di Natale vi fu un incendio, quasi sicuramente di origine dolosa, che distrusse parte dei fienili, tanto che oggi la cascina non ha più la struttura classica della corte lombarda chiusa nei sui lati, ma da una parte è rimasta aperta.Tra Giuseppe Sudati ed i suoi figli c’è un rapporto particolare: Giuseppe è un tipo giovanile, che può ancora dare tantissimo al lavoro, ma delega molto ai figli, limitandosi a consigliarli con la sua saggezza. Di recente i Sudati hanno raddoppiato il numero delle bovine, preso altra terra in affitto, ed avviato un impianto di biogas come alternativa di reddito.La stalla è seguita dai giovani Sudati, mentre Giuseppe pone maggiore impegno alle attività burocratiche ed economiche, e dedica parte del suo tempo al sindacato di Confagricoltura.Nel congedarmi dalla famiglia Sudati, ripenso a mente il signor Gino: a quel suo lungo girovagare prima di mettere radici alla cascina Ceregallo. A quelle sue arrabbiature perché gli uomini gli apparivano storti, fasulli. E credo che, a guardare oggi la sua famiglia, non potrebbe che sentirsi felice e orgoglioso.
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