Chissà in quante occasioni, nella sua lunghissima vita, Quinto Mazza è stato costretto a spiegare l’origine del proprio nome senza mai perdere il sorriso come se, al contrario, si trattasse davvero della prima volta: «Nacqui dopo quattro femmine, quando mio padre disperava di avere l’erede maschio: così mi fu dato il numero progressivo di arrivo in famiglia, e fui chiamato Quinto».
Il padre era orgogliosissimo del piccolo Quinto: «Papà di nome faceva Modesto ed era un uomo che aveva sempre vissuto per il lavoro. Quando nacqui, mi portava a passeggio. Un giorno un contadino lo apostrofò, facendogli notare che le figlie femmine non le aveva mai accompagnate fuori, e che l’eccezione la faceva per me solo perché maschietto. Era la verità ma, sbattuta a brutto muso, diede fastidio a papà. Allora, lui rientrò in cascina e chiarì a sua moglie che spingere un marmocchio sul passeggino era mestiere da donna e dunque che lo proseguisse lei come aveva sempre fatto».
tre osterie
Il signor Quinto Mazza è un patriarca della frazione Cà dei Mazzi, lembo di terra fra le zolle di Livraga. Me lo ha presentato il mio amìs Giacomo Rossi, che è originario della zona, livraghino doc, della dinastia dei Rossi della cascina Balduca; Giacomo mi mostra il paesaggio come se vantasse peculiarità specifiche, introvabili neppure a girare tutta la provincia lodigiana: «Guarda – mi dice in un’estasi che gli fa smarrire la razionalità – qui ci sono pure i papaveri, quelli rossi…».
La frazione Cà dei Mazzi, ancora mezzo secolo fa, pullulava di vita: all’alba era un continuo andirivieni di gente, chi si precipitava a Secugnago a prendere il treno per Milano, chi raggiungeva la vicinissima San Colombano al Lambro per presentarsi puntuale alla partenza del primo pullman sempre per il capoluogo lombardo, e chi andava nelle stalle delle cascine o sui campi limitrofi. Settecento, ottocento abitanti. Oggi i residenti non arrivano neppure a una cinquantina. Alla sera, c’era lo stesso percorso al contrario: ma prima di tornare a casa, quasi tutti facevano una tappa in osteria. Vi erano tre locali storici, in frazione. Quasi dirimpetto alla vecchia scuola, c’era l’osteria San Lorenzo, negli ultimi anni gestita da Riccardo Lacchini, un uomo apprezzato per la sua onestà e disponibilità.
Poi c’erano l’osteria de “El Pessè” (“Il pescatore”) e quella che prendeva nome da un campo ed era condotta da Lugi Sari. Quest’ultimo era come un’istituzione: oltre a mescere vino, vendeva i beni della propria ortaglia, mentre sua moglie, la signora Rosina, era una cuoca talmente brava che la sua fama era giunta a Milano. I Sari avevano quattro figli, che aiutavano nella conduzione dell’osteria. Uno di loro, Felice Sari, si trasferì nel Veneto ed ha proseguito a fare il cuoco.
gaspare e modesto
Alla frazione Cà dei Mazzi, il momento più bello lo si viveva durante la sagra di San Lorenzo, che si festeggiava il 3 agosto: una festa che tutti gli abitanti cercavano di rendere memorabile; e speciale lo divenne a tal punto che, una volta sospesa, fra le generazioni dei giovani rimase come un senso di vuoto: si avvertiva che mancava qualcosa. Dopo due decenni di interruzione, qualche anno fa la sagra della Cà dei Mazzi è tornata in voga e, rispetto al passato, è stata anche migliorata: adesso dura quattro giorni. Quest’anno sarà presente pure il gruppo delle mondine, con i loro canti della nostalgia, e si attrezzerà una pista d’acciaio per i ballerini del liscio.
Quinto Mazza ricorda alcune figure storiche, come don Luigi Piana che da Livraga veniva qui per celebrare messa prima che partisse per le missioni in Sudamerica. I Mazza sono veramente la memoria storica della frazione. Non c’è un avo che si ricordi fosse giunto da altrove. Appartengono a questa realtà rurale da sempre. Il capostipite si chiamava Gaspare, ovviamente agricoltore, e non aveva mai voluto credere a quella storia che voleva la sua famiglia discendente da una dinastia spagnola, al servizio del re Pietro I d’Aragona. Anche per lui i Mazza erano nati con la frazione Cà dei Mazzi, come a prendere il cognome dello stesso luogo.
Suo figlio, Modesto Mazza, era un bel personaggio. Era nato il 3 agosto 1895. Aveva partecipato al primo conflitto mondiale e rischiato seriamente la vita almeno in tre circostanze, tanto che i superiori decisero di richiamarlo definitivamente dalla trincea; gli fu insegnato, allora, il mestiere del barbiere. Divenne bravissimo e mantenne l’attitudine, tanto che, rientrato in cascina, gli uomini si mettevano in coda per avere fatta da lui la sfumatura ai capelli.
commercianti di alberi
Agli inizi del secolo Novecento, l’azienda agricola era soprattutto rivolta al commercio delle piante per la produzione di legname. Modesto era un autentico maestro nella valutazione di un affare: prima ancora che a peso, acquistava gli alberi a colpo d’occhio; gli bastava attraversare il campo e guardare di sfuggita gli arbusti per intuire complessivamente il numero di quintali di legna che si sarebbero potuti ricavare. Poi mandava una squadra di uomini a buttar giù gli arbusti e a ripulirli dai rami. I tronchi venivano riposti sui vagoni merci delle ferrovie e spediti ad una cartiera di Salò e ad altre industrie, anche in Francia. Inoltre, in cascina vi era una mezza dozzina di bovine da latte.
Nel 1920, Modesto Mazza aveva sposato Maddalena Vignati, i cui genitori conducevano il bellissimo Mulino della frazione Cà dei Mazzi. La signora era una grandissima lavoratrice, dovendo anche fare, talvolta, di necessità virtù: quando scarseggiava il lavoro, infatti, il marito partiva per le campagne pavesi, andando a prestare sotto terzi la propria opera di falciatore, e si assentava per una decina di giorni. Era un modo per arrotondare il reddito, ma soprattutto il desiderio di non restare inconcludenti, con le mani in mano, nei momenti di pausa dalle attività di commercio del legname. Modesto e Maddalena ebbero sette figli: la primogenita si chiamava Paola, e fu una ragazza molto sfortunata poiché morì di malattia diciassettenne; seppur giovanissima, era già divenuta una bravissima stilista per gli abiti da sposa e lavorava a Milano. Quindi era nata Teresa, che aveva sposato un Dragoni della riseria Ghisella di San Colombano al Lambro. Successivamente era nata Luisa, cioè la mitica maestra Mazza di Livraga, una donna straordinaria, che intere generazioni di bambini di tante epoche passate ricordano per le sue doti di insegnante e di umanità: è rimasta tale e quale, l’unica novità è che, ad 87 anni, ha cessato di andare in bicicletta. A sorridere al mondo fu poi la volta di Caterina, che ha vissuto buona parte della propria vita a San Giuliano Milanese, dove col marito aveva un negozio di ferramenta, ma divenuta vedova si è trasferita a Lodi.
una vita di contrattempi
Alla fine, arrivarono tre maschi consecutivamente: il nostro Quinto, Pietro Paolo e Francesco. L’unico dei rampolli a proseguire l’impegno agricolo fu proprio Quinto. Egli era bravo a scuola: aveva fatto le prime tre classi alla frazione Cà dei Mazzi con la severissima maestra Maddalena Cipolla e per il successivo biennio aveva frequentato il plesso scolastico di Livraga. Ma in cascina c’era bisogno di nuove braccia e diligentemente aveva rinunciato a proseguire gli studi. Come il padre, fu un ottimo commerciante di piante, attività che proseguì ancora per anni.
Quinto, però, ebbe diversi contrattempi; la sua vita è stata costellata da pesanti infortuni sul lavoro: in una circostanza, mentre a bordo del carro spronava il proprio cavallo, un camion gli piombò addosso provocandogli fratture multiple ad entrambe le gambe.
Aveva l’attitudine a schivare anche le fortune, Quinto. Una volta recatosi a ritirare un carico di legname, trovò che i contadini erano in ritardo nell’abbattimento degli alberi. Il padrone del podere, vista la fatica dei propri uomini, mandò loro la propria figlia con alcune bottiglie affinchè potessero dissetarsi; Quinto, già innervosito per quell’imprevista attesa, le si parò innanzi e la redarguì: a loro sì, e a me niente? La ragazza corse in casa e gli portò un mestolo di vino. Nacque così l’amore tra Quinto e Maddalena Belloni, originaria di Borghetto Lodigiano. Tuttavia, malgrado l’affetto per la ragazza, lui aveva paura a compiere il grande passo, ne restava forse intimorito: quando fidanzata, genitori e suoceri stabilirono la data delle nozze, Quinto non volle neppure vedere i mobili per la nuova casa, né andò in sartoria a farsi fare un abito buono. Nel 1957, capitolò.
L’unione con la signora Maddalena, gli diede nuove consapevolezze. Quinto pensò che fosse giunto il momento di ingrandire la propria azienda: e da poche bovine, passò gradualmente ad una stalla di tutto rispetto. Nel frattempo, cresceva anche la famiglia: dopo Paola ed Ester, arrivarono Claudio, Modesto e Giampiero.
due figli in azienda
Dei tre maschi, l’unico che ha scelto una strada distante dall’agricoltura è Modesto, che fa l’infermiere professionale. Claudio ha subito scelto di proseguire in azienda, mentre Giampiero ha compiuto un percorso più tortuoso: era infatti andato a lavorare come idraulico ed aveva imparato bene il mestiere, ma qualcosa non lo convinceva. I soldi arrivavano se il cliente aveva modo di pagare: quando a commissionare un impegno era una ditta e questa, in un mercato turbolento, chiudeva per fallimento, di pagamenti non se ne vedeva neppure l’ombra. Giampiero, invece, che in cascina continuava a dare una mano nel tempo libero e nei week end, conosceva bene la concretezza delle cose e della vita. Il richiamo della corte finì per catturarlo. Non è stato semplice, in questi anni, destreggiarsi nel comparto agricolo: il ricavo per la vendita del latte è sceso da 40 a 37 centesimi a litro; i Mazza hanno anche realizzato un impianto fotovoltaico ed è stato un investimento oneroso: ogni spesa necessita la sua copertura, e a fronte di profitti che vanno sempre più assottigliandosi diventa complicato guardare con serenità al futuro. Malgrado questo i Mazza rivelano la necessaria grinta per non demordere. L’azienda agricola è intestata a «Mazza Quinto, Giampiero e Claudio»; a loro si affianca come coadiuvante il nipote Samuele, ventiquattrenne, figlio di Modesto: un ragazzo che sta rivelando la giusta passione per divenire, come il nonno, agricoltore di razza.
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