Non mi sembra neanche vero: attraverso un percorso naturalistico di suggestiva ed incredibile bellezza - si costeggia un canale d’acqua denominato Mortizza, nei pressi di San Rocco al Porto - faccio l’occhialino alla vicina città di Piacenza e corroboro il cuore di larghi intendimenti.
Giacomo Rossi, che mi sta accompagnando dalla famiglia Cassi alla cascina Belvedere, resta interdetto. Deve essersi dipinta sul mio volto un’espressione radiosa, se mi penso, quasi la percepisco. Le mie radici, per me, siciliano dell’Etna, affondano anche qui: Piasëinsa è luogo di radici. A Chiara spiego sempre che i miei piedi sono stati bagnati dallo Jonio, dal Po e graffiati dalla pietra lavica. Mia figlia, ormai che è grande, non ci crede più. Ma io insisto nel raccontarle i fatti, che appartengono di diritto alla sua stessa storia: mia nonna paterna si chiamava Elisa ed era piacentina doc, scrittrice de La Libertà; da giovane s’era innamorata di un capitano dell’esercito, di stanza a Palazzo Farnese. Lui si chiamava Placido, veniva da Catania, e aveva nei suoi occhi scurissimi la voluttà del mare quando è in tempesta.
Il fidanzamento era stato contrastato, tanto che il nonno aveva deciso di ritornarsene in Sicilia. Elisa, per la disperazione, s’era chiusa in convento, ed il capitano Placido, appresa in qualche modo la notizia, si precipitò a Piacenza, avvertendo il vescovo Giovanni Maria Pellizzari che non di vera vocazione si trattava, ma di capricci di cuore. L’alto prelato, uomo ligio e comprensivo, convocò Elisa e la invitò a guardarsi nel profondo del cuore.
Il nonno capitano Placido fece il resto: convinse Elisa a trasferirsi a Catania; solo per qualche mese, la rassicurò. Ma, una volta arrivati sull’isola, si rimangiò la parola. Placido ed Elisa rimasero per sempre sull’isola. La nonna, donna di raffinate letture, cominciò a collaborare con il quotidiano Il Popolo di Sicilia e nella sua rubrica ricordava spesso la sua città. Per questo, io sono sempre stato attratto da Piacenza.
n dal trebbia alla bassa
E la mia gioia sconfina, come uno specchio d’acqua si riverbera per larghi cerchi concentrici, quando apprendo che i coniugi Cassi, proprietari della cascina Belvedere di San Rocco al Porto, sono essi stessi originari del Piacentino.
Il signor Carlo Cassi è nato nel 1921 a Sant’Antonio Trebbia, frazione sita a cinque chilometri da Piacenza. Suo nonno si chiamava Isacco ed era un piccolo coltivatore. Era stato proprio Isacco Cassi a spostarsi nel Lodigiano: aveva acquistato la cascina Belvedere, ma poi si era trovato in imbarazzo a mandare via gli affittuari e per qualche tempo era rimasto nel Piacentino. Una volta trasferitosi aveva aumentato il numero delle proprie vacche e lasciato ai figli una valida azienda agricola.
A proseguire la conduzione della corte Belvedere fu il figlio Giovanni, un agricoltore tutto cuore piacentino, simpatico, espansivo, solare, e con la strana fama di indovino: aveva un intuito speciale nel capire i destini delle persone.
Giovanni era sposato con Rina Conti, originaria di Caresana, in provincia di Vercelli. Anche i Conti si erano trasferiti nel Lodigiano ed essendo in sedici in famiglia, conducevano una possessione consistente, denominata Bosco Paveri.
L’impegno agricolo, allora, per il signor Giovanni cominciava a farsi tosto: oltre alla propria azienda agricola, doveva seguire parte dei terreni della moglie. Per fortuna suo figlio Carlo, ultimogenito, cresceva, e non appena fu in grado di agire in modo autonomo, il padre gli affidò la cura della possessione materna.
n un agricoltore infaticabile
Carlo Cassi si rivelò un agricoltore infaticabile: l’unica pausa, ma che fu abbastanza lunga, avvenne durante la guerra. Quando partì per il fronte, fu fatto prigioniero e deportato in Germania. Riuscì a fuggire insieme ad altri sette commilitoni e rientrò nel Lodigiano percorrendo a piedi tutta la strada.
Ritornato a casa, il signor Carlo riprese il proprio impegno agricolo. L’azienda era prevalentemente cerealicola, ma i Cassi avevano stabilmente tenuto un numero di bovine per la produzione delle carni.
Nel frattempo Carlo coronò il proprio sogno d’amore. Egli era fidanzato con Carmen Gruppi, la cui famiglia, di storici agricoltori, conduceva la cascina San Sisto, a San Rocco al Porto, proprietà del nobile Antonio Traversa.
Questo ramo dei Gruppi era originario della campagna piacentina, nel territorio tra Roncaglia e Le Mose. Poi il padre della signora Carmen, si era spostato appunto nel Lodigiano, chiamato da un fratello che era andato in avanscoperta, si era trovato bene, ed ora sollecitava gli altri parenti a raggiungerlo.
Carlo e Carmen si erano conosciuti grazie al ponte di barche, che poteva essere utilizzato a quel tempo per raggiungere dal Lodigiano l’altra sponda del Po; Carlo vi andava in bicicletta e gli capitava di prendere la strada che lambiva la cascina San Sisto. Capitò che una volta anche Carmen dovesse andare a Piacenza, ed allora Carlo si offrì di accompagnarla. Fu il primo gesto, di un matrimonio che ha già celebrato il suo cinquantatresimo anniversario.
Il matrimonio si celebrò in una piccola cappella, fatta costruire presso la cascina San Sisto dal signor Enrico Gruppi, papà di Carmen.
n il pioppeto e il po
Carlo continuò a dividersi tra la cascina Belvedere e la possessione del Bosco Paveri. Qui vi era un pioppeto su mille pertiche di estensione, e qualche altro piccolo appezzamento di frumento. Il legname veniva venduto ad un commerciante di Castiglione d’Adda, che si chiamava Ghizzoni.
Il pioppeto, per i Cassi, era una sorta di croce e delizia: se, infatti, l’attività era remunerativa e comunque la campagna ricca d’alberi, l’incubo delle esondazioni del Po non lasciava gli animi tranquilli. Il 12 novembre 1951 il fiume, che già nei giorni precedenti aveva evidenziato i segnali della prossima propria furia, invase Piacenza e il sud del Lodigiano: Carlo riuscì a salvare il bestiame. Le immagini di quell’alluvione rimasero scolpite nella sua mente. Poi i famigliari materni, essendo appunto numerosi, con uno di loro che si era trasferito in America, decisero di vendere la possessione e di dividersi le quote.
A quel punto Carlo Cassi si dedicò esclusivamente alla cascina Belvedere, coltivando i terreni con distese di mais, frumento, erba medica e pomodori; mantenne, sino agli anni Ottanta, le bovine per l’allevamento di carni, arrivando sino a settanta capi; addetto alla stalla era un sardo: Salvatore Ziulu.
Vi erano stati altri contadini, nel passato, che avevano assunto un ruolo significativo, anche per la durata del tempo trascorso alle dipendenze dei Cassi: fra questi, i fratelli Giovanni e Pietro Bernardelli, che erano stati premiati dal Consorzio Agrario con una medaglia d’oro per la fedeltà al lavoro.
n la predestinata
Carlo Cassi compirà a breve novant’anni: durante le belle giornate, arriva ai confini dei propri campi ed osserva la terra; la campagna gli è sempre piaciuta. Le redini dell’azienda sono state prese dalla figlia dei coniugi Cassi: Gabriella, docente in materie scientifiche all’Istituto per geometri di Piacenza. Gabriella è stata una predestinata: non solo come agricoltrice, ma pure come insegnate, ruolo che le era stato predetto da suo nonno Giovanni, che, astuto come un indovino, sin da quando la bambina era piccolina, le profetizzava: Gabriella, farai la professoressa. E così, infatti, avvenne.
La scelta di dedicarsi all’azienda agricola, invece, più che una profezia, fu dettata dalle circostanze: c’era comunque un patrimonio agricolo che andava salvaguardato, e cederlo ad altri, anche solo con lo strumento dell’affitto, non era assolutamente conveniente.
La professoressa Gabriella, nella conduzione dell’azienda come nella vita, ha imparato molto sia dal padre che dalla madre; dalla signora Carmen, ha appreso a non arrendersi mai davanti ad alcuna difficoltà: a casa Cassi scherzano asserendo che la signora doveva nascere uomo, ma la divertente battuta la racconta lunga sul piglio del carattere di questa donna; da papà Carlo, invece, Gabriella ha imparato la qualità della parsimonia; nei suoi investimenti, infatti, il signor Carlo è sempre stato molto oculato: se doveva acquistare un terreno, lo faceva sempre con il contante già pronto, senza contrarre mai debiti; una scelta controcorrente in un periodo in cui gli agricoltori, con le vecchie agevolazioni sui prestiti, riuscivano a fare investimenti prescindendo dal capitale effettivo.
Lasciando la cascina Belvedere, il sole sembra sospeso sul cielo: un ultimo sguardo al di là del Po; chissà se i fidanzati Placido ed Elisa, ai primi del Novecento, durante una passeggiata romantica attraversarono il ponte di barche, fecero una gita fuori porta, qui a San Rocco al Porto, giusto nella sconfinata campagna attigua alla cascina Belvedere.
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