I tre comandamenti dei fratelli Brambilla

Coltivare, allevare, trasformare: così si è davvero buoni agricoltori

Alla frazione Marzano di Merlino non mi capitava di andare da molti anni; eppure questo è un luogo che ha sempre suscitato la mia curiosità e a cui sono, forse inspiegabilmente, legato. Quando avviai una ricerca sui più antichi molini del Lodigiano, partii proprio da una ruota sita a Merlino. E qui ho scoperto la bellezza delle antiche osterie: nel cuore della frazione vi è quella de “Il Cacciatore”, vi capitai anni fa, e la padrona, la mitica signora Teresa, osservava con sospetto questo forestiero con l’accento del Sud, che faceva domande sui segreti delle sue pietanze: finì che divenimmo amici e nel suo locale ho sempre assaporato il gusto dei cibi sani e genuini. E poi m’intrigavano i misteri del castelletto, noto come il Palazzo, e di cui le leggende tramando la tradizione di un ignoto fantasma.Spinto dunque da un avvincente entusiasmo, ho avuto immediatamente modo di entrare in sintonia con i fratelli Brambilla, agricoltori, di cui sono stato ospite per un lungo e bel pomeriggio nella loro cascina denominata La Piccola. La corte è in pieno fermento: vi sono lavori in corso, i fratelli Brambilla sorridono, gentilissimi e cordiali, ma chissà cosa avrebbero dato per rinviare questa intervista. Nella dimora padronale c’è una piacevole frescura: fuori intuisco il caldo infrangersi sulle finestre, scivolare lungo i vetri in goccioline di arroventata umidità. Interessantissime le vicende di questa dinastia di agricoltori, che hanno mantenuto, sin dal ceppo originario, la peculiarità di innovare, rimanendo sempre fedeli al dettato agricolo che, come spiega Carlo, il primogenito dei fratelli, si basa su una regola fondamentale: essere buoni agricoltori significa coltivare, allevare, trasformare. Una scelta ovviamente condivisa da tutti i componenti della famiglia e che, in un certo senso, va controcorrente, considerato che nella società agricola attuale si privilegiano ormai le specializzazioni: chi segue solo le vacche, chi solo i maiali, chi esclusivamente le coltivazioni, e fra questi chi quelle destinate al biogas, mentre c’è pure chi, serrati i battenti, opta esclusivamente per il fotovoltaico.

Un calciatore mancato Il primo Brambilla che memoria ricordi si chiamava Gerolamo, originario di Settala. Uno dei suoi figli era Ulderico, nativo del 1914. Agricoltore unanimemente stimato, Ulderico aveva avuto da giovane la possibilità di rinviare il proprio impegno in agricoltura, in quanto voleva fare il calciatore, ed era già nella rosa dei giovani più promettenti dell’Atalanta. Poi ci si mise di mezzo il ginocchio, a causa di un infortunio al menisco. Allora non erano stati ancora sperimentati gli interventi chirurgici e Ulderico dovette rinunciare alla gloria del pallone. Probabile che ne rimase deluso, ma aveva un carattere indomito, e seppellì le proprie malinconie: in fondo, seppe consolarsi, sapeva che le vere disgrazie nella vita erano di ben altra natura.Aveva studiato alla scuola Agraria, e il padre, quando Ulderico non era ad allenarsi, già gli suggeriva i rudimenti del mestiere. Così, ancora giovane, gli fu affidata la conduzione della cascina Gavazzo di Mediglia, cento ettari di terra, struttura imponente di proprietà dell’Ospedale Maggiore di Milano, e vicinissima a Paullo. Fu qui, in una corte limitrofa, che conobbe, Clorinda Giussani, anch’ella figlia di agricoltori, e che portò alle nozze.Ulderico Brambilla realizzò un’attività agricola rivolta sia alla zootecnia che all’impegno cerealicolo. Egli era uno di quelli che meritano l’epiteto di agricoltore di razza; la sua maggiore qualità appariva quella di non perdersi mai in chiacchiere, andando sempre al nocciolo delle questioni, e sapendo prendere decisioni che avevano il crisma della lungimiranza. Fu tra i primi a realizzare la stalla all’aperto, ad avere la mietitrebbia sui campi, a provare tutti i nuovi macchinari. Aveva qualità professionali e umane importanti ed ebbe, fra gli altri, un grande merito: quello di appassionare i propri figli all’impegno agricolo quasi in modo naturale, senza che sentissero mai il peso della fatica, anzi valorizzando in loro autentici sentimenti di convinta partecipazione.

Una madre premurosa Ulderico e Clorinda ebbero quattro figli: Carlo, Annalisa, Diego e Michele. Se il padre per tutti loro fu come un maestro, la signora Clorinda è tutt’ora l’anima della famiglia: tutti i figli la coccolano e le restituiscono quotidianamente l’amore che hanno sempre ricevuto; così pranzare attorno al desco della casa padronale non è soltanto un modo per continuare ad essere presenti nel cuore della propria azienda agricola, ma un modo per stare vicini alla madre. La signora ha mantenuto, nel suo sguardo dolcissimo, ricco di premure verso tutti i componenti della propria famiglia, la sua indole materna: prova ne è che i nipoti, piuttosto che chiamarla nonna, le attribuiscono il titolo onorifico e bellissimo di «Mamma super».Nel 1964 i Brambilla, per una fortuita serie di circostanze, si spostarono da Mediglia a Marzano di Merlino. Aumentarono il numero di capi di bovine e quello dei suini. Il signor Ulderico, però, avrebbe voluto realizzare anche un caseificio: a quel tempo, molte cascine avevano la propria casera dove trasformare il latte. Questo suo desiderio fu realizzato successivamente dai suoi figli, che nella realtà di Comazzo hanno impianto, vicino alla stalla, il proprio caseificio.Come il padre, anche i fratelli Brambilla sono stati e continuano ad essere veri e propri innovatori: ad esempio, nella scelta della produzione dei beni biologici, dal foraggio al latte, furono fra gli antesignani. Giusto qualche mese fa la trasmissione televisiva nazionale Linea Verde ha dedicato una puntata ai metodi naturali realizzati dai fratelli nelle loro attività.

Non solo agricoltura Oggi i Brambilla conducono complessivamente 700 ettari di terreno coltivati a foraggi destinati all’allevamento, costituito da una mandria di circa 800 vacche da latte; vi è sempre il settore suinicolo, destinato alla produzione annuale di circa 1800 maiali grassi, allevati a ciclo chiuso. A fianco degli impegni tradizionali, i fratelli Brambilla hanno realizzato nuove iniziative, che loro definiscono connesse a quella agricola principale. Da qualche anno, hanno rilevato il parco ittico di Villa Pompeiana: 150mila metri, aperti al pubblico, con spazi di natura incontaminata, davvero uno splendore di luogo, amatissimo dai bambini più piccoli per la presenza dei pesci e di un attrezzato parco giochi ed apprezzato dagli adulti per la incantevole suggestione che suscita l’ambiente.Tra meno di due mesi, esattamente il 29 settembre, in collaborazione con l’organizzazione Coldiretti, i Brambilla inaugureranno un farmer’s market, sulla strada della Paullese, all’altezza del km 10. In certe scelte c’è un pizzico d’audacia: il desiderio di promuovere l’agricoltura attraverso i propri beni, ma ovviamente resta fondamentale la risposta del cliente, e sopratutto la consapevolezza di quest’ultimo sulla genuinità dei prodotti.So bene che, nell’ambiente agricolo, quando si parla dei Brambilla, si accenna genericamente a tutt’e tre i fratelli. Sensazione che viene anche a me, quando li vedo alternarsi in continuazione nel rispondere alle pressanti chiamate, che ricevono sui propri telefonini: si intuiscono richieste urgenti, collaboratori che chiedono consigli, altri che comunicano impreviste difficoltà e domandano istruzioni. Si ha la sensazione che quando finalmente arrivi la notte alla cascina La Piccola sia già giorno. Non ci si ferma mai. Solo all’ora di pranzo, forse, per stare insieme - giusto una mezzoretta - alla signora Clorinda.Lei ha insegnato ai figli il valore dell’unione e della semplicità dei modi: per questo, alludendo soltanto ad uno di loro, viene comunque naturale riferirsi sempre e comunque ai fratelli Brambilla. In realtà, pur in perfetta sincronia, ciascuno svolge specifici compiti: Carlo si occupa della zootecnia e degli aspetti propriamente commerciali; Diego segue l’aspetto agronomico; e Michele presiede le attività sui suini e quella del caseificio. Poi c’è anche il loro nipote Ovido, figlio di Annalisa, che segue il parco ittico.

Formaggi gioiello La prossima apertura dello spaccio sulla Paullese valorizzerà senz’altro la qualità dei formaggi prodotti dall’azienda agricola dei Brambilla: fra questi, spicca ad esempio lo stracchino fiorito, da non confondere con la crescenza, e semmai nel gusto più simile ad un taleggio; poi c’è il comune stracchino fresco; ed un formaggio di cui, confesso la mia ignoranza, apprendo solo ora l’esistenza: si tratta del rusticone lodigiano, brevettato proprio dai Brambilla, un vecchio prodotto della tradizione locale, simile al grana e al tempo stesso diverso, privo di conservanti, realizzato in forme piccole, massimo da 8 kg, normalmente messo in commercio intorno ai due anni di stagionatura. Quindi c’è il cacio bio, la mozzarella tradizionale, la scamorza, lo yogurt naturale, e infine lo spalmabio, prodotto che non ha grassi aggiunti nè addensati, l’ideale probabilmente nella sua qualità di formaggio spalmabile.Nessuno dei Brambilla si propone come inventore di prodotti caseari: parte dei meriti vanno anzi riconosciuti al signor Pierangelo Renzi, di Caravaggio, consulente dell’azienda agricola e tecnico di spessore, che per oltre trent’anni ha prestato la propria opera per un importantissimo caseificio nazionale.A casa Brambilla, bussano anche le nuove generazioni; da qualche tempo il figlio di Michele, Paolo, si occupa dell’allevamento delle bovine; e la figlia di Carlo, Valentina, segue l’amministrazione. Anche per i giovani, penso sia indelebile la figura di nonno Ulderico. E mentre raggiungono chi la stalla e chi la scrivania di lavoro, io so immaginare l’occhio vigile di nonna Clorinda: le sue premure delicate, le sue attenzioni, nel cuore di una famiglia che non ha mai smarrito, lungo i secoli, i valori in cui ha mostrato, sin dall’origine della propria storia, di credere.

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