C’è un tempo per ogni cosa. Sempre. Ho trascorso gli ultimi giorni dell’anno appena terminato in Sicilia: con un amico d’infanzia sono andato a pesca di polpi, mi sono riappropriato del mare, la sensazione della salsedine sul viso, il suono monocorde delle onde contro allo scafo, la riva vista come un altro mondo.
Ho invece preso confidenza con l’alba del nuovo anno dalle pendici dell’Adamello, ospite di cari amici lodigiani, con la neve che imbiancava i boschi, il freddo a disegnare mappature di cristalli sui vetri, il silenzio delle vette a farsi imponente.
Ed è lì che, dopo giorni, mi ha assalito un’attanagliante e repentina nostalgia del Lodigiano. Mentre scendevo lungo i tornanti di Vezza d’Oglio, Francesco Affaba era alla guida dell’auto e sull’asfalto gelato non mostrava di temere slittamenti di sorta, ho scorto, tra alcune casette montane, un ampio recinto: dentro vi erano al pascolo alcune bovine; all’interno ogni cosa era indorata dal ghiaccio del primo mattino, ma non la mangiatoia dove provvide mani avevano riposto una gran quantità di fieno; le bovine, credo non più di tre, erano prossime alla greppia: me ne lasciavo conquistare, sin quando esse sparirono dalla mia vista.
Ora, gli echi più misteriosi delle radici fanno inaspettate irruzioni nel cuore: sono state sufficienti alcune bovine, una mangiatoia, il fieno, quattro assi di legno come riparo di una modesta stalletta perché io sentissi la mancanza del Lodigiano.
Ho ripensato alle cascine e alla loro gente, ed ho avuto irrefrenabile il desiderio di rientrare. Ha ragione lo scrittore Mauro Corona quando sostiene che le radici chiamano, improvvise, ed allora diventa inutile opporvisi: i polpi e il mare, la campagna e le sue antiche corti, un giorno arriverà un più forte richiamo delle radici, rutilante come la lava, cantilenante come lo sciabordio della risacca del mare, candido come la neve, fluorescente come la nebbia più densa, acre come il concime in certe sere di fine estate, ed allora capirò, uomo di mezza età o canuto anziano, quale radice più spessa ed avvolgente abbia inglobato e reso prigioniere le altre.
E mentre guardavo la neve dell’Adamello, ripensavo ad un’altra coltre bianca ad ampia distesa che, qualche settimana addietro, aveva reso Borghetto Lodigiano come un paese simile a quello di una fiaba, e la cascina Sarezana un luogo d’incanti.
Le origini nella bassa
Ero stato ospite di Luigi Grazioli, attuale proprietario della corte. Avevo già conosciuto un ramo di questa famiglia, che ebbe le proprie origini a Codogno. Il signor Luigi è uomo che sa fare buon viso a cattiva sorte; l’ho giusto incontrato il giorno successivo a quello in cui il ghiaccio sull’aia gli aveva tirato uno scherzetto sinistro: lui aveva roteato le gambe per aria, il tempo sufficiente per comprendere che il tonfo per terra gli avrebbe causato qualche guasto; il responso affidato alle lastre era stato impietoso: frattura del bacino. Ma il signor Luigi se ne era fatto subito beffe: avrebbe gestito letto e poltrona come un comandante guida una nave, affidandosi ai suoi ufficiali per la conduzione della cascina, cioè ai suoi figli.
Il padre del signor Luigi si chiamava Gaetano. Era stato lui a prendere la decisione di staccarsi da un suo fratello affinchè le rispettive famiglie potessero ingrandirsi senza costituire un intralcio l’una per l’altra. Gaetano era andato alla cascina Lardera di Cornovecchio, a quel tempo proprietà della famiglia Silva di Pizzighettone. Correva l’anno 1958.
Gaetano era un uomo molto buono e paziente, con un grande senso dell’equilibrio. Proverbiale era la sua massima che il tempo medica ogni ferita: come non s’esaltava quando le cose andavano bene, così non si deprimeva nei momenti difficili. Aveva sposato Angela Fedeli, da cui aveva avuto otto figli: quattro maschi ed altrettante femmine. I maschi (oltre al nostro Luigi, Giuseppe detto Pippo, Giovanni e Mario) lavorarono tutti in cascina, ed anche le ragazze, durante la permanenza alla corte Lardera, diedero fattivamente il loro contributo.
Angela Fedeli era una donna molto energica, attenta a qualunque aspetto nella conduzione dell’azienda agricola, e le circostanze della vita la posero come punto di riferimento essenziale per la famiglia Grazioli.
Cinque anni dopo l’arrivo a Cornovecchio, infatti, Gaetano Grazioli morì. Ciò accadde nel 1963, anno che Luigi Grazioli definisce come quello in cui perse importanti modelli: oltre a quello paterno, vi fu la scomparsa di Kennedy e quella di Papa Giovanni XXIII.
Un giovane capofamiglia
Quando scomparve il genitore, Luigi aveva 25 anni: ma più che la maturità, contavano la capacità di sapere interpretare il ruolo del capofamiglia e l’abilità nello svolgere bene il lavoro dell’agricoltore. Luigi Grazioli aveva rivelato, sin da bambino, una passione straordinaria per i lavori della campagna e, soprattutto, per il bestiame: all’età di 3 anni conosceva il nome di tutte le bovine della sua stalla, mentre a 4 anni, quando un commerciante veniva per acquistare una vacca, suo padre Gaetano gli diceva di accompagnare l’acquirente ad osservare quel determinato capo: pur tra centinaia di esemplari, assai simili tra loro, Luigi non esibiva mai alcun tentennamento.
Nel 1966 la famiglia Silva comunicò ai Grazioli che intendeva vendere la propria possessione. Luigi non se la sentì di impegnare la propria famiglia in un investimento così forte e preferì lasciare la corte di Cornovecchio: sfumato però un affare mai avviato, seppe immediatamente concluderne un altro ed acquistò la cascina Sarezana di Borghetto Lodigiano, la cui proprietà era a quel tempo della nobile famiglia Visconti di Vimodrone. Di questa dinastia, l’ultimo proprietario della corte fu il conte Filippo.
La casa di monsignor sagrada
La corte Sarezana è ben conosciuta nel suo circondario perché vi nacque, nel 1860, monsignore Vittorio Emanuele Sagrada, missionario in Birmania, sacerdote del Pontificio Istituto Missioni Estere; di recente si sono festeggiati i 150 anni della sua nascita: fu celebrata una messa in cascina, su iniziativa del parroco don Fiorenzo Spoldi, e venne un missionario piemontese a narrare della vocazione missionaria di monsignor Sagrada.
Alla cascina Sarezana Luigi Grazioli portò soltanto una trentina di vacche, le migliori fra quelle che avevano costituito la stalla ai tempi della cascina Lardera: in quel tempo, infatti, si procedeva ad un risanamento dalla tubercolosi e, piuttosto che sulle bovine da latte, si preferì puntare su un allevamento di qualità, che garantisse il futuro. Ci si affidò così ad un commerciante di fiducia, Telesforo Corbellini di Melegnano, che fece importare un consistente quantitativo di esemplari dall’America. Il signor Corbellini divenne un assiduo frequentatore della famiglia Grazioli: inizialmente si pensò per la passione con la quale seguiva il proprio mestiere, tanto da volersi assicurare quotidianamente della resa delle bovine procurate, ma poi si comprese che i suoi interessi erano altri, ben dichiarati quando chiese (ed ottenne) la mano di una sorella di Luigi, la signora Lidia.
A rendere operativa la stalla vi era un capo mungitore di grande esperienza, che da anni lavorava per i Grazioli: Rino Milani. Altri collaboratori di fiducia furono Nando Riccaboni e Sante Guaragni.
La famiglia cresce
Negli anni successivi, i Grazioli acquistarono altre corti e così progressivamente ciascun fratello prese la propria strada.
Nel 1976 Luigi sposò la signora Emilia Nova, originaria di Trivolzio, provincia pavese. Quando si conobbero lei aveva 21 anni, e lui andava già per i 36: la mamma di Emilia era molto preoccupata per questa differenza d’età, ma il padre, anch’egli agricoltore, stravedeva per questo collega che mostrava di sapersi fare largo nell’ambiente agricolo: averlo come genero non gli sarebbe affatto dispiaciuto.
Il parere più importante, in ogni caso, era quello di Emilia: e lei era assolutamente affascinata da quest’uomo certo tanto più grande di lei, ma dai modi galanti, dal piglio sicuro, dalla simpatia quasi sfrontata.
Ella si ambientò benissimo alla cascina Sarezana, ma il suo impegno quasi esclusivo fu quello di dedicarsi alla famiglia; dal matrimonio nacquero quattro figli: due maschi, Davide ed Andrea, che proseguono l’impegno in azienda, e due femmine: Stefania, veterinaria, che ha a sua volta sposato un agricoltore, Emanuele Tonoli di Maleo, e Cristina, che segue l’amministrazione dell’azienda agricola, ed è coniugata con Marzio Merlini, bancario e segretario della Lega Nord di Borghetto Lodigiano.
Davide ed Andrea Grazioli, con la supervisione del padre, gestiscono oggi un’azienda agricola di notevoli dimensioni. Dal 1970, infatti, oltre alla stalla, vi è un allevamento a ciclo chiuso di suini, che oggi sono circa tremila: una volta ingrassati, vengono prelevati da un commerciante di Sant’Ilario d’Enza, in provincia di Reggio Emilia. Il latte, invece, viene conferito alla Cooperativa Santangiolina: la scelta risale a poco meno di cinque anni fa, quando i Grazioli convennero che questa cooperativa lodigiana, più di qualunque altra rinomata realtà nazionale, sapeva ancora dare valore ai rapporti umani, valorizzando la relazione con i propri soci in termini non solo economici ma di sostegno, di consulenza e di sicurezza, qualità senza dubbio essenziali in un sistema, quello agricolo, che sembra smarrire in modo irreversibile le proprie certezze.
Al signor Luigi Grazioli il declino dell’agricoltura sembra infatti inarrestabile: gli agricoltori sono soffocati dai controlli della burocrazia, mentre i profitti sembrano divenire sempre più aleatori, assolutamente indipendenti da programmazioni serie e lungimiranti.
È un futuro nebuloso e tutto ancora da decifrare. Ma i Grazioli sono persone forti, che sanno tenere la barra del timone con temperamento solido e sicuro: avanti tutta dritta verso il futuro.
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