I campi di tabacco della corte che fu

Lo si coltivava alla cascina Bella: oggi ne restano solo due silos

Vado Ad Rotas ben sapendo che oggi è un giorno di festa. Alla parrocchia SS. Nazario e Celso, infatti, si insedia il nuovo parroco, che è anche un caro amico, un uomo che ha la dote di donare ai ragazzi i segni della speranza; toccherà ai giovani saperli coltivare, ma da adulti un giorno ritroveranno, nel proprio cuore, i talenti donati da questo prete di larghi sorrisi ed ampio cuore: don Nunzio Rosi.

Chiamo così la frazione, ad Rotas, perché questo era il nome originario di Zorlesco; qui, nell’antica strada Laus Pompeia, vi era un’antica stazione. Visito la cascina Bella; o meglio: quello che ne resta, cioè un paio di silos, oggi avvinghiati da alberi a libera crescita che sembrano volerli divorare.

Fratelli calciatori

La storia della cascina Bella, il cui nome è già garanzia di quanto fosse incantevole questa corte oggi fantasma, dove pare vi dormì per una notte con tutti gli onori possibili ed immaginabili persino l’imperatore Federico Barbarossa, mi è stata raccontata dal signor Lorenzo Boccardi, la cui famiglia originaria costituì nel passato, in più e diversi rami, un’ampia stirpe di agricoltori.

Il signor Lorenzo è originario di Codogno: lì suo padre, Antonio Boccardi, era stato per anni conduttore alla cascina Gerobona, conosciuta nel più lontano passato come corte Ferraria, anch’essa oggi fantasma, ormai demolita, e che si trovava nel centro del paese.

Il signor Lorenzo ha ricordi nitidi del padre, che era un uomo molto corretto, stimatissimo non solo nell’ambiente agricolo, capace di trasmettere ai figli competenze di lavoro e lezioni di vita. La mamma del signor Lorenzo si chiamava Ancilla Arata, parente del noto pittore Francesco Arata, artista di fama nazionale, che lavorò anche come aiuto scenografo alla Scala di Milano. I loro figli maschi (oltre al signor Lorenzo, Angelo, Alessandro e Giuseppe) intrapresero inizialmente il percorso agricolo, mentre la figlia Dina sposò un avvocato di Milano e lì si trasferì.

In realtà, uno dei ragazzi, Angelo Boccardi, classe 1928, trovò quasi immediatamente un’altra strada, perché divenne un calciatore di un certo rilievo: si mise in luce nel Pescara, durante la stagione agonistica 1948/49, tanto da essere acquistato dal Bologna, giocando così in Serie A, ed indossò pure la casacca dell’Atalanta. Anche il nostro signor Lorenzo giocava a pallone e, come il più famoso fratello, aveva lo stesso ruolo: portiere. Aveva difeso la porta della Melegnanese e sembrava destinato anch’egli ai grandi palcoscenici; un giorno il fratello lo portò al campo d’allenamento del Bologna, gli disse di piazzarsi tra i pali, e lui ed il grande attaccante Cesarino Cervellati bersagliarono la porta di tiri rapidi come sassi scagliati da una fionda: Lorenzo volava da una parte all’altra, e ad ogni parata sembrava che i guanti si lacerassero; a fine allenamento, i dirigenti della squadra emiliana erano pronti a sottoporre un contratto anche al minore dei fratelli Boccardi.

Il signor Lorenzo, però, conosceva la mentalità del padre Antonio, che a malincuore aveva accettato che già uno dei figli avesse scelto la strada dal calcio. Si incaricò di convincerlo Angelo, che comunque, come calciatore della massima serie, godeva di un certo prestigio. Ma per quanto fosse affermato, sul padre non aveva alcuna ascendenza: il signor Antonio gli rifilò un secco rifiuto, congedandolo con una frase secca: il calcio non è un lavoro vero.

Così, dovendo andare a svolgere il servizio di leva, il signor Lorenzo Boccardi, invece di finire alla compagnia atleti, andò a Nocera Inferiore, nel profondo Sud; anche in questa circostanza il pallone gli fu provvidenziale: comandante della sua compagnia, era un giovane tenente emiliano, tifosissimo del Bologna, e quando questi apprese che il suo soldato era niente meno che il fratello del grande Angelo Boccardi, portiere della sua squadra del cuore, gli fece passare una naia dolce e soporifera, chiedendogli in continuazione gli autografi del suo idolo.

Un cedro gigante

Ultimati gli obblighi militari, il signor Lorenzo Boccardi rientrò nel Lodigiano. A metà degli anni Cinquanta, i fratelli Boccardi avevano scelto di divenire affittuari della cascina Bella di Zorlesco. Successivamente i fratelli si separarono: Alessandro si trasferì alla cascina Santa Monica di Brembio, mentre Angelo, smesse le scarpette chiodate, e Giuseppe, avviarono un grande esercizio commerciale.

In quel tempo il signor Lorenzo sposava Annamaria Locatelli, originaria di Zorlesco, figlia di Gaetano, fondatore di una ditta di produzione di interruttori elettrici, che dava possibilità di lavoro a una cinquantina di dipendenti. La signora comprese immediatamente quanto fosse difficile l’impegno di un agricoltore, e riporta oggi un’antica massima che tende a definire e valorizzare il mestiere agricolo: se il lavoro è sacro, quello della terra è divino. I Boccardi hanno avuto tre figlie: Antonella, Adriana, ed Elena.

Per fortuna, il fascino della corte Bella e la fertilità della terra davano ai coniugi Boccardi la piacevole sensazione di trovarsi in un luogo unico. Il giardino retrostante la casa era un autentico splendore, soprattutto per l’incredibile varietà di piante: fra queste, ve ne era una particolarmente suggestiva; si trattava di un cedro del Libano, una pianta che può assumere un’altezza consistente, e che tende ad appiattirsi alla sua massima estremità; poiché ha rami molto lunghi, la sua circonferenza tende ad assumere un’ampiezza considerevole. Per chiudere in un abbraccio quella del cedrodella cascina Bella occorreva una catena umana di almeno tre persone.

Questo albero sembrava inamovibile, ma quando, dopo cinquant’anni di permanenza, i Boccardi lasciarono la corte di Zorlesco, una notte un colpo di vento lo sradicò; è probabile che la causa fu il peso della parte superiore dell’albero, ma chi crede ad una relazione fra gli arbusti e gli uomini può benissimo pensare che il cedro del Libano della cascina Bella, senza la presenza dei Boccardi, aveva finito per immalinconirsi, o forse aveva tentato di seguirli, illudendosi che le proprie radici, dopo secoli di inamovibilità, avessero forze sufficienti per trascinare l’intero fusto. Invece, forse fece un passo, in direzione di Codogno, dove erano andati a vivere i Boccardi, e poi venne giù, con un fruscio delle foglie leggero leggero, come a volere morire in silenzio, nel più totale abbandono. Certo che il suo crollo creò un vuoto, come una voragine: guardando Zorlesco si sentiva che mancava qualcosa, anche l’occhio più distratto se ne accorgeva: ma si era così abituati alla presenza del cedro del Libano che pochi, inizialmente, riuscivano a cogliere che a non esservi più era proprio quell’atavico albero. All’epoca si credeva che tutto potesse venire meno tranne che il cedro del Libano.

Scelte innovative

Durante gli anni alla cascina Bella, il signor Lorenzo Boccardi si rivelò un vero sperimentatore: oltre alla tradizionale stalla per la produzione del latte con annessa stalletta per la rimonta, e ad una ventina di scrofe, il signor Lorenzo Boccardi aveva creato una struttura per ospitare fattrici trotter: una volta svezzati, i cavallini venivano mandati in maneggi specializzati per gli allenamenti sportivi.

Ma le maggiori soddisfazioni, e talvolta le difficoltà più brucianti, provennero dal lavoro della terra. Lorenzo Boccardi, infatti, fu capace di scelte inusuali per il territorio lodigiano: destinò trecento pertiche alla coltivazione del tabacco, quello Badischer Burley, di origine nord americana. Attraverso l’uso della trapiantatrice, le piantine venivano poste nel terreno. Per la loro maturazione occorrevano quattro mesi. Poi iniziava la raccolta. Le piante erano oramai alte, e si coglievano inizialmente le foglie in basso, quelle più grandi. Una volta raccolte venivano poste su un telaio, e da qui portate al forno per l’essiccazione. In azienda vi erano tre forni essiccatoi e il tabacco rimaneva in essi per una settimana. Il signor Lorenzo ricorda ancora come un vero incubo il suo primo tentativo di innesto delle piantine: venne giù un vero e proprio diluvio, a dispetto di mesi tranquilli dove il cielo non aveva versato una goccia d’acqua che fosse una; le piantine di tabacco, fragilissime appena poste nel terreno, vennero spazzate via; ma il signor Lorenzo non si perse d’animo: trapiantò di nuovo altre piantine e diede il via a quella che oggi, ad anni di distanza, continua a considerare come un’esperienza decisamente affascinante. Il tabacco, una volta essiccato, veniva inscatolato e spedito a Sparanise, in provincia di Caserta, e da qui destinato alla produzione di sigarette.

Le ultime sentinelle

Con l’inserimento delle quote, anche per il tabacco accadde quello che avvenne per il regime della produzione del latte: fu così che il signor Lorenzo Boccardi decise di porre fine all’esperienza e proseguì con le altre coltivazioni più tradizionali.

Nel 2000 la famiglia Boccardi chiuse i battenti della cascina Bella, che da allora non ha avuto più alcun altro affittuario. Oggi, di quella corte rimangono soltanto i due silos, quelli avvinghiati dalle piante e che sembrano muti, rassegnati al destino di essere divorati, finchè anche la memoria degli uomini non li dimentichi; le case coloniche, poste sin dall’origine al di fuori della cascina Bella, sono state sostituite da normalissime, civili abitazioni.

Il resto è silenzio. Anche se oggi è giorno di letizia, e a Zorlesco, nel cuore della vecchia Ad Rotas, si festeggia il nuovo prevosto. Viva don Nunzio, viva i SS. Nazario e Celso!

© RIPRODUZIONE RISERVATA