E’ una mattinata di colori in chiaroscuro: il cielo è ingannevole e non lascia trapelare presagi di sorta; potrebbe dilatarsi il caldo, o forse no: ne scruto ogni angolo, abituato come sono stato nella mia vita ad interpretare il mare di Sicilia secondo le velature all’orizzonte. Ma qui in pianura ogni cosa sembra rimanere in sospeso, rarefarsi senza lasciare traccia. Non mi sono ancora abituato a decifrare il cielo di questa terra: vado a sprazzi, per intuiti.
uno scivolone storico
In una stanza della casa padronale della cascina Rovedaro si sta giungendo ad un importante conclusione: Enrico Ceruti, agricoltore e appassionato storico, chiarisce che quando sui libri di storia si commette un errore alla fine se lo si trascina dietro per sempre. È difficile potersi dire immuni da scivoloni, e così persino il mitico Giovanni Agnelli, nel suo Dizionario Storico Geografico del Lodigiano, quando si trovò a scrivere della cascina Rovedaro di Terranova dei Passerini, prese un abbaglio: infatti, citò erroneamente un documento dell’anno 1034, vale a dire il testamento dell’arcivescovo milanese Ariberto d’Intimiano, un ecclesiastico che ebbe una vita molto avventurosa, tanto che nel 1036 fu arrestato dall’allora re d’Italia Corrado II, che ne temeva l’evidente potere economico; in quell’atto era riportata, fra diverse altre corti possedute dal testamentario, anche quella di Roboreto, una località perdutasi poi nella notte dei tempi; Agnelli, distraendosi, la confuse, appunto, con la cascina Rovedaro. Al contrario, i primi atti ufficiali relativi alla cascina Rovedaro sono del XIV secolo: in essi si evince che la proprietà era sia del vescovo di Lodi che della famiglia Fissiraga. Tale situazione si mantenne sino alla fine del XVI secolo. Successivamente la possessione Rovedaro, il cui toponimo starebbe ad indicare un luogo incolto infestato da rovi, passò a diverse famiglie benestanti del Lodigiano; fra gli altri, ne furono possessori gli Advocati, che la ricevettero tramite testamento proprio da don Filippo Fissiraga, e poi l’abate don Baldassare Cadamosto, che a propria volta ne lasciò parti consistenti al Consorzio del Clero di Lodi.
dal cremasco
I Ceruti vi arrivarono, inizialmente come affittuari, soltanto nel 1959. Due anni dopo acquistarono la possessione. La famiglia Ceruti è originaria di Pizzighettone e i capostipiti erano coltivatori diretti. Lavoravano piccoli appezzamenti di terra e poiché gli affari dicevano bene pensarono di ingrandirsi acquistando altra terra nel paese di Caselle Landi. Uno fra i più attivi era Pietro Ceruti figlio di Giacomo. Egli, oltre che avere un ottimo fiuto per gli affari, aveva anche scelto oculatamente la donna della propria vita: attorno alla fine dell’Ottocento aveva sposato Irene Fontanella, originaria di Santo Stefano Lodigiano; la fanciulla era di famiglia agiata e gli aveva portato in dote 100 lire, grazie alle quali Pietro Ceruti aveva pure avviato un’attività commerciale legata ai vitelli. Quest’ultimo impegno si rivelò molto redditizio: Pietro acquistava vitellini, li faceva crescere, e poi li rivendeva, tenendone ogni volta la metà; da un lato aumentava così i capi per la produzione delle carni, dall’altro manteneva una stalla per quella del latte. In breve mise da parte i soldi per acquistare la cascina Cigolina di San Fiorano a cui si aggiunse poi la cascina Foina. I coniugi Pietro ed Irene ebbero sette figli: Enrico, classe 1894, quindi Cecilia, Santina, Giuseppina, che poi si fece consacrata e divenne suor Irene, Giuseppe (1904), Giacomo (1906), ed infine Albina. I tre ragazzi maschi proseguirono l’impegno agricolo: Giuseppe e Giacomo erano fortemente appassionati d’agricoltura, e disponibili all’impegno manuale e alla fatica. In questo erano molto simili alla madre, la signora Irene, che non stava mai ferma un attimo, tanto che quando le si chiedeva dove trovasse tutta quella energia, con molta arguzia era solita rispondere che lei, lavorando, si riposava. Enrico, invece, era diverso, e forse più simile al padre: magari non sapeva adoperare il forcone, ma amava comandare, e sapeva farlo anche bene.
sulla propria strada
Inizialmente i fratelli rimasero uniti, ma poi ciascuno pensò di intraprendere autonomamente un proprio percorso. Enrico andò prima alla cascina Gerola di Fombio e poi si spostò alla cascina Dossi di Brembio; Giacomo scelse la corte Cà Vecchia di Codogno; e Giuseppe venne qui a Terranova Passerini, alla cascina Rovedaro. Quest’ultima corte, prima di essere acquistata da Giuseppe Ceruti, era stata proprietà della famiglia milanese Grassi, che nel passato aveva avuto un forte impegno in politica, tanto che di quel lignaggio era pure un senatore del Regno d’Italia. Giuseppe s’impegnò notevolmente per ridare alla cascina Rovedaro la bellezza di un tempo. Insieme all’amico Giacomo Rossi facciamo una lunga passeggiata, attraversando l’aia: bellissima la casa padronale, imponenti la vecchia stalla e gli altri caseggiati rurali. Stare al centro di un’aia, in una cascina, è come fermarsi al centro di tutto: è riafferrare il senso della storia, ripercorrere i lavori di un tempo, inquadrare il presente, progettare il futuro. Ripassando la storia sinora ascoltata, provo nel cuore un’innata simpatia per il fu Giuseppe Ceruti. Egli, pur in una cascina bella ed imponente, non si dava pace: continuava a mancargli San Fiorano. Diceva, infatti, che lì il terreno aveva una resa migliore, che fosse più fertile: bastava seminare e le rese, puntualissime, giungevano. Probabilmente, negli ultimi tempi, i campi della cascina Rovedaro non erano stati concimati con assiduità. Oppure era proprio la terra di San Fiorano ad essere migliore. Ma per lungo tempo quei luoghi furono un rimpianto indelebile per il signor Giuseppe. Sempre dalla cascina Cigolina, aveva portato con se Emilio Sperlecchi, la cui famiglia era da sempre stata alle dipendenze dei Ceruti: con lui rivangava spesso i tempi andati.
una coppia perfetta
Giuseppe Ceruti aveva sposato Natalina Negri di San Fiorano, la cui famiglia gestiva da molti anni la drogheria del paese. La coppia s’integrava alla perfezione: Giuseppe era un agricoltore molto conosciuto in zona, e a cui universalmente venivano riconosciute doti di competenza e serietà; la signora Natalina aveva, in particolare, una precisa caratteristica: annotava e registrava tutto. Era una vera esperta di contabilità aziendale. Dal matrimonio sono nati Pietro, nel 1947, e Roberto, nel 1949. Entrambi sono diplomati periti agrari e hanno sempre lavorato nell’azienda agricola. I due giovani fratelli continuarono l’opera di ampliamento avviata dal padre, che già aveva provveduto ad aumentare il numero delle vacche da latte, realizzando anche la stalla all’aperto. Agli inizi il latte era prevalentemente conferito al Consorzio Produttori Latte di Codogno, che provvedeva a dirottarlo alla Centrale del Latte di Milano. Negli ultimi anni, invece, i fratelli Ceruti sono divenuti soci della cooperativa Santangiolina: una scelta, la loro, dettata dalla consapevolezza che solo un uomo carismatico come Antonio Baietta, da anni presidente del sodalizio, poteva ridare fiato e forza ai produttori di latte.
nuove energie
Nell’azienda agricola è stato realizzato negli scorsi mesi un impianto fotovoltaico: il rispetto per la terra e la necessità di bonificare le parti superiori della stalla hanno fatto sì che i pannelli venissero situati sulla tettoria. La realizzazione dell’energia è interamente assorbita dai consumi dell’azienda. Pietro e Roberto hanno preso il carattere della nonna Irene: sono instancabili, in ogni luogo della cascina. Pietro ha avuto modo di approfondire, nel corso della sua vita, anche una formidabile passione: quella per l’astronomia. Roberto, invece, ha più senso pratico: non c’è cosa che non sappia riparare. Entrambi i fratelli, però, sono molto attratti dalla terra, che amano coltivare. La loro è forse una visione romantica di agricoltura: con le zolle della campagna che devono ancora conservare il proprio profumo, e i virgulti delle nuove coltivazioni che devono affiorare ed essere preservati sino al raccolto. Raccontare della terra in questi termini così bucolici può sembrare contro tendenza, visto che oggi tutto è legato al reddito ed al profitto immediato. Gli appezzamenti, che nel corso di quest’ultimo mezzo secolo, sono aumentati con progressivi acquisti, vengono destinati a cereali e foraggi. Pietro Ceruti ha sposato Giuseppina Raffa: dal matrimonio sono nati Enrico, il nostro testimone appassionato di storia, e Giuseppe, ingegnere, che lavora all’estero. Roberto ha invece sposato una donna originaria di Moscazzano: Antonietta Bertesago. Il futuro dell’azienda agricola Rovedaro passa oggi attraverso Enrico, che ha tantissime qualità e, fra tutte, un forte, fortissimo senso della famiglia. Oltre che di storia, è anche appassionato di strutture architettoniche, e grazie a questo suo interesse ha imparato a conoscere e approfondire i vari aspetti delle realtà di questo territorio. Con lui, terra e strutture architettoniche aziendali saranno preservate per i prossimi mille anni.
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