Batte all’Olmo il gran cuore dei Cecchini

Alla Casa San Giuseppe la “culla” profumata di fiori e piante

In uno spazio appartato della via Emilia, nel tratto che attraversa il cuore della frazione Olmo di Lodi, c’è la Casa San Giuseppe, dove si trova l’azienda agricola florovivaistica della famiglia Cecchini.Dall’incontro con la famiglia - presenti tre generazioni - ho ricavato l’impressione che, in un album ideale di stemmi araldici, quello loro avrebbe l’icona del cuore; verrebbe da dire, pensando alla passione con cui hanno coltivato, lavorato e commercializzato piante e fiori, il grande cuore dei Cecchini.

Dalle marche Il ceppo della famiglia è originaria di Pesaro e lì, già dalla metà dell’Ottocento, gli avi facevano i vivaisti e i giardinieri. A salire in Lombardia era stato Bruno Cecchini, che non riusciva a mettere radici in un luogo perché se lo contendevano i migliori nobili della regione; questi lo volevano per una capacità magica che possedeva: quella di fare rinascere i più decadenti giardini delle ville, rendendoli ambienti esclusivi e bellissimi da vedere. Aveva così prestato la propria opera presso tantissime residenze, ma il lavoro di cui Bruno andava più fiero era quello relativo alla Villa Cicogna Mozzoni di Bisuschio, in provincia di Varese.Bruno, bravissimo non solo per la sua capacità operaia, quella cioè di realizzare giardini stupendi, nonchè siepi ornamentali di fascinosa struttura, era anche apprezzato perché esibiva una conoscenza enciclopedica su ogni tipo di pianta. Non c’era qualità che non conoscesse, o fiore di cui ignorasse le peculiarità. Era, riguardo alla botanica, un professorone, un cattedratico più unico che raro. A Lodi vi era già stato una prima volta, e aveva trovato splendida la città, l’ideale per far crescere la famiglia. Così, quando si stancò della vita raminga da giardiniere, e pensò bene di aprire un negozio, vi fece ritorno e vi si stabilì definitivamente.

La signora maria Bruno aveva sposato Maria Valentini di Lodi. I due, in realtà, non si erano conosciuti qui, ma a Pesaro. La signora Maria era figlia di un tappezziere, che analogamente al genero faceva il trasfertista: lo chiamavo da ogni parte d’Italia per mettere, nei principeschi saloni delle residenze più in vista, tendaggi e drappeggi che ben alludessero alla ricchezza ed alla nobiltà dei committenti. Fu chiamato anche a Pesaro, e durante uno dei suoi viaggi portò la figlia Maria. Così un giorno, in una villa di Pesaro, mentre il signor Valentini, aiutato dalla figlia, allestiva un drappeggio, e il sciur Bruno curava un giardino, maturò l’occasione per conoscersi.Maria Valentini costituì la fortuna di Bruno, e non solo nel ruolo di compagna di vita; fu, infatti, una socia in affari del consorte talmente brava da rendere solido, solidissimo il loro esercizio commerciale.Bruno Cecchini aveva tutte le qualità di questo mondo, e fra queste, prima fra tutte, la bontà: se un cliente, e più erano nobili più sembravano poveri in canna, gli accennava alla difficoltà del pagamento, lui s’imbarazzava, e quasi finiva per annullare il proprio credito. Sempre così. In definitiva, poi, quello che veramente gli importava era che i committenti apprezzassero il suo lavoro: i complimenti e le gratificazioni morali per lui valevano più che la prosaica e volgare mercede.La signora Maria, no: al soldo badava, eccome! E intimò al marito che al borsellino, sia per le uscite che per le entrate, avrebbe badato esclusivamente lei, da sola. Divenne un’ottima amministratrice delle attività.

La casa del fiore La coppia ebbe due figli: Luciano e Rosangela, ed entrambi affiancarono i genitori nell’attività commerciale. I Cecchini avevano a quel tempo un negozio in pieno centro a Lodi: “La casa del fiore”. Luciano Cecchini, nativo del 1937, aveva tenuto nel cuore un’altra passione: quella per i motori. Avrebbe potuto fare il meccanico, il collaudatore, il pilota, perché per lui le macchine e le moto parevano non avere segreti. Ma con altrettanta convinzione si era dedicato al mestiere del padre, che lo aveva mandato, ancora ragazzino, a bottega a Milano, affinchè imparasse a lavorare i fiori. Inoltre sapeva creare composizioni e bouquet stupendi.Luciano, dai capelli rossi, era un uomo che, forte del fatto proprio, poteva apparire spavaldo. Ma la sua, piuttosto, era la dote della fantasia. Aveva estro ed immaginazione. E furono proprio queste qualità che, ad una festa da ballo, colpirono una ragazza destinata a divenire sua moglie: la signora Grazia Bernazzani.Lei, figlia di un verniciatore d’auto di Lodi, lavorava a quel tempo nello studio di un commercialista. Luciano andava a prenderla all’uscita del lavoro e, anzichè portarla a passeggio, la conduceva nel retrobottega del negozio, dove le insegnava a lavorare i fiori. Grazia ne rimase sorpresa, e forse avrebbe preferito fare con il fidanzato romantiche camminate lungo l’Adda. Ma la passione del marito per il lavoro era contagiosissima. E fu così che anche la signora Grazia si dedicò alla floricoltura, lasciando la scrivania del commercialista. Divenne una esperta su come trattare i fiori, su quali scegliere per le composizioni più riuscite, e su come individuare i migliori terricci per l’invasamento, perché tra pianta e terra deve svilupparsi una relazione d’intesa.

Addio al negozio Luciano e Grazia si sposarono nel 1963. Qualche anno dopo, decisero di cambiare indirizzo alla propria attività: invece che dedicarsi al negozio commerciale, che anzi vendettero nel 1969, pensarono di rafforzare l’attività vivaistica, sino a quel momento condotta solo parzialmente e quasi esclusivamente per la coltivazione delle rose. I Cecchini avevano un pezzo di terra nei pressi della frazione Olmo di Lodi. E qui ebbero l’occasione di ampliare questo loro progetto. All’Olmo, infatti, si rendeva libera una casa, denominata San Giuseppe, di proprietà della famiglia Sidoli. Il toponimo era probabilmente dovuto ad un’osteria, posta di fronte all’abitazione, e che aveva appunto questo nome: Osteria San Giuseppe. Serafino Sidoli faceva il commerciante di rottami metallici; era un uomo squisito, gioviale, simpatico e di compagnia; probabilmente aveva preso quel carattere dagli avi, originari dell’Emilia. Egli aveva intrapreso l’attività commerciale insieme ad un fratello. Poi i due avevano diviso l’impegno; il ramo del fratello prosegue ancora oggi, al di là del ponte dell’Adda, l’attività nel commercio dei tubi metallici, e di questa discendenza fa parte Sante, artista apprezzato, pittore tanto bravo quanto umile, le cui opere è facile trovare nelle case dei veri intenditori d’arte. I figli di Serafino Sidoli, invece, presero altre strade: Antonio è stato per molti anni infermiere professionale all’Ospedale di Lodi. E fu proprio quest’ultimo, dunque, che vendette la Casa San Giuseppe, costruita da suo padre Serafino, ai Cecchini.

Magnifiche serre Sui terreni limitrofi Luciano Cecchini cominciò a costruire le sue serre. A fianco a quella per le rose, ne pose una per la coltivazione del ficus. E poi una terza, per le violette. Quindi aggiunse la coltivazione dei ciclamini e delle stelle di Natale. Luciano mise nelle coltivazioni tutto il proprio estro e Casa San Giuseppe sembrava essere la culla di ogni nuovo fiore. Poi, agli inizi degli anni Ottanta, i Cecchini cambiarono ancora rotta: invece che avviare il processo di coltivazione dall’origine, preferirono ritirare le piantine in fiore per dedicarsi alla concimazione, all’innaffiamento, ed alla loro crescita. Luciano cominciò a viaggiare tantissimo: andava in riviera ligure, in Toscana, ovunque vi fossero mercati di sicuro prestigio, e si accaparrava le piantine migliori, puntando sempre sulla varietà e sulla bellezza dei colori dei fiori.A Luciano e Grazia si affiancarono le due loro figliole: Laura e Nerina. Quest’ultima, caratterialmente, ricorda tantissimo il padre: stessa fantasia, stessa inventiva nel realizzare le composizioni floreali. Anche Laura ama i fiori e possiede le giuste corde interiori per sprigionare i propri estri, ma lei in azienda si è dovuta precipitosamente occupare d’altro. Sette anni fa, un destino malevolo e beffardo ha aspettato Luciano Cecchini al varco: un attacco di cuore se l’è portato via. Ora, lui era un tipo di genitore che cercava di non mettere mai ansia alle sue figlie: di soldi, se ce n’erano e se bastavano, o se occorreva far ricorso alle banche, non parlava mai. La figlia Laura così, alla morte del padre, dovette cominciare ad interessarsi dell’amministrazione partendo da zero. E si dedicò anche a tutti gli aspetti commerciali. È diventata bravissima. Forse lo è sempre stata, anche quando pensava a tutto papà Luciano. In famiglia nessuno dubita nel riconoscerle il ruolo di leader, comunque il motore che avvia ogni cosa, l’anima attorno a cui ruota l’attività floreale della Casa San Giuseppe.

Una nuova generazione Da qualche tempo, nella famiglia Cecchini emerge la nuova generazione, la quarta ufficialmente, ma probabilmente si può andare anche più a ritroso, coinvolta nell’azienda florovivaistica: si tratta di Gabriele Feneri, il figlio di Laura. A lui spetta principalmente il compito di andare in giro con il camion, cercando di vendere le piantine ai commercianti al dettaglio. La nonna Grazia dice che il nipote promette bene: Gabriele è bravo nel vendere, sa porgere con la gente, è educato nei rapporti e sta imparando a dare i giusti consigli ai clienti, interpretando bene i loro gusti e desideri.La Casa San Giuseppe così ha già posto le basi per il futuro. Tra le serre è tutto un rilucere di colori e profumi. Sul cielo del tramonto una sfumatura di rosa si mescola all’azzurro. È una sintonia perfetta. Chissà che ne avrebbe detto Luciano. I suoi famigliari hanno mantenuto le sue premesse. Non c’era da dubitarne: con il grande cuore dei Cecchini non poteva essere che così.

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