Con i fratelli Vitali, Dina e Lorenzo, sostiamo sull’ampia aia della cascina Legorina a Vizzolo Predabissi. I caseggiati hanno un lungo perimetro: ogni uscio ha un suo ricordo, da ogni finestra vi sarà stata una particolare visione sul mondo. Dina e Lorenzo forse non vi prestano caso, ma c’è un istante in cui ciascuno di noi pretende per sé uno spazio di solitudine: è il desiderio, lo percepisco palpabilissimo in loro, di ritrovare un angolo di storia di quella che fu la permanenza dei Vitali alla corte Legorina, fosse il timbro di una voce, l’eco di un passo incerto, il canto intonato di un parente speciale. Ed è come se questa cascina, ormai spopolata e disabitata da anni, improvvisamente si rianimasse di presenze e di vita. Sarebbe bellissimo. Osservo la signora Dina aggirarsi per la corte, e mi conquista l’idea che ad andarle incontro vi sia il suo bisnonno: pà Tùni detto Giana.
PA’ TUNI era nato nel 1842 e da giovane era stato un tipo tosto, indomito anche davanti alle peggiori iatture, quando sembravano concentrarsi su di lui e, sopratutto, sulle sue vacche: pur essendo nato a Bereguardo, nel Pavese, era d’indole bergamasca, essendo i suoi genitori di Zogno, e quindi a tutto poteva arrendersi tranne che alla iella! A causa dell’afta epizootica gli crepava un’intera mandria, e che mai poteva essere? Ripartiva con un’altra. Ma anche quando questa seconda gli si liquefece come niente, ancora colpita dall’infezione, Pà Tùni vacillò e pensò che forse, maledetta pianura, questo non era il posto che faceva per lui. Aveva 19 anni e tutta una vita davanti: tanto valeva, allora, riprendere la strada della montagna. Qui conobbe l’amore e sposò Mam Maria, anch’ella una Vitali, che figlia d’agricoltori, come tutti sul cocuzzolo della Val Taleggio, seppe rincuorarlo e ridargli il gusto della sfida agricola.Così Pà Tùni e Mam Maria d’inverno tornavano a valle. La coppia ebbe sette figli, fra cui i maschi erano quattro, tutti decisi a mantenere le tradizioni paterne.
IL PRIMOGENITO si chiamava Giovanni ed era nato nel 1873. Sugli altri fratelli aveva un forte ascendente: gli affari, per tutti, li trattava lui, essendo munito di ufficiale procura nell’interesse dei famigliari.Fu lui a decidere che, oltre a condurre la cascina Maiocca, originariamente sita a San Giuliano Milanese e poi passata sotto Melegnano e meglio conosciuta come Maiocchetta, dove i Vitali avevano mezzo radici dal 1917, era possibile pure assumere l’affittanza della cascina Legorina, corte che fu da lui successivamente acquistata. Qui Giovanni vi arrivò nel 1922 con la moglie, all’anagrafe Pesenti Costantina Apolonnia, ma da tutti conosciuta come “Bùlò”, e con i loro otto figli, tre maschi e cinque femmine, delle quali ben quattro presero gli abiti religiosi, tutte nell’ordine delle Orsoline.
GIOVANNI VITALI fu un vero personaggio; intanto, era un uomo orgogliosissimo. Ancora fidanzato, si presentò inaspettatamente, dopo ben otto mesi di alpeggio, a casa dell’amata, giù in pianura. La donna, pratica e poco propensa alle smancerie romantiche, trovandoselo davanti, gli disse: «Siuv belè arrivad?» (siete già arrivato?); e lui, che sperava in tutt’altra accoglienza, se ne risentì a tal punto, da fare dietrofront ritornandosene, sdegnato, sui monti.Anche sciur Giovanni appariva brusco, non fosse altro che per i suoi occhi così azzurri, da apparire taglienti come lame di ghiaccio. In realtà era un buon uomo, che si lagnava di non avere ricevuto tutto l’amore che pensava di meritare. Tutte quelle figlie che avevano scelto i voti religiosi erano per lui un’afflizione! Per dirla tutta, sciur Giovanni era anche un agricoltore atipico: non aveva mai voluto bere il latte, perché la vista della mungitura manuale lo nauseava, e se c’era da dedicarsi alla raccolta del frumento, lui preferiva che gli si portassero dei sassi per scegliere i migliori al fine di realizzare un bel vialetto d’ingresso alla corte.
LA CASCINA LEGOGRINA in quegli anni - e sino alla metà del secolo scorso - era popolatissima: a sciur Giovanni i momenti di festa piacevano pure, ma li apprezzava sopratutto standosene in disparte, sedendo su una seggiola al balconcino superiore della casa padronale. Dei suoi tre figli maschi, solo uno sembrava destinato all’impegno agricolo: Marco, nato nel 1914, e che fu pure un eccelso intagliatore di legna. Veramente anche un altro figlio, di nome Giovanni, giusto come il padre, poteva fare l’agricoltore, ma se ne era andato sbattendo l’uscio: aveva infatti sposato Teresa Rossi, la cui famiglia lavorava in cascina, tanto che questa unione era stata così contestata che la coppia aveva preferito togliersi di torno; il giovane Giovanni, pertanto, aveva deciso di intraprendere la carriera di assicuratore alle Generali. Poi c’era Antonio, il primogenito. Era nato nel 1904 ed aveva avuto la sfortuna di essere colpito da una grave encefalite quando aveva 17 anni. Le conseguenze sul fisico furono disastrose: normale all’apparenza, d’improvviso gli si paralizzava una gamba, costringendolo a ruzzolare per terra. Esporlo nell’impegno agricolo sarebbe stato un vero azzardo. Così lo si indirizzò negli studi, facendogli frequentare la scuola dei salesiani. Ma Antonio aveva sopratutto un animo artistico: dipingeva e realizzava sculture, parlava correttamente il russo, aveva contatti con mezzo mondo, e possedeva una bellissima voce, che esibiva nelle funzioni religiose. In cascina aveva realizzato, ai piani alti della casa padronale, una sorta di dependance e, per non essere disturbato dai numerosi bambini, aveva scolpito un enorme statua di Sant’Antonio e l’aveva posta nella penombra dell’ingresso, spacciandola per un cadavere imbalsamato: così tutti se ne stavano alla larga.
LA CONDUZIONE DELL’AZIENDA agricola fu presa, dunque, da Marco, che nel 1942 aveva sposato Costantina Papetti. Ma egli era un uomo di fatica, tanta, e non di carte, burocrazia, conti e rendiconti: di tutte queste cose s’era interessata sua sorella Marcellina, ma quando anche lei era andata a suora, Marco rimase solo. Così richiamò in cascina il fratello Giovanni, quello che era andato a lavorare alle Generali; ma i fratelli ebbero una relazione complicata, spesso trovandosi in totale disaccordo. Allora il loro padre, il vecchio sciur Giovanni, intervenne e vista l’impossibilità di ripristinare l’unione, affittò la corte Legorina esclusivamente a Marco, sollecitandolo pure a vendere la cascina non appena possibile visto che l’agricoltura dava la sensazione di andare a ramengo: correva l’anno 1959.
NEL 1967 Marco prese in affitto la cascina Calvenzano a Caselle Lurani, anche per dare una prospettiva ai suoi tre figli: Giovanni, Ferruccio, e Lorenzo, a cui si aggiungevano le femmine, la nostra Dina e la signora Maddalena. Ma nel 1982 Lorenzo Vitali, dividendo gli affari dai fratelli, tornò come affittuario sui campi della Legorina, sui quali costruì una propria stalla: arrivò ad avere 150 bovine, tra quelle in lattazione e quelle per l’allevamento; poi si dedicò solo alle giovani manze. Infine l’indirizzo agricolo divenne solo cerealicolo. Lorenzo Vitali è un agricoltore coerente, che parla più con gli occhi che con le parole. Su una mensola della casa è incorniciata la foto di sua moglie: Anna Maria De Ponti, scomparsa nel 2007, e i silenzi di Lorenzo esprimono con intensità il contenuto più vero e profondo d’una assenza. Su un’altra mensola, fa bella vista di sé la scultura di una Madonna, realizzata dalla figlia Federica, di professione architetto. Qualcosa di nonno Marco scorre ancora nel sangue delle nuove generazioni dei Vitali.
© RIPRODUZIONE RISERVATA