Vi sono luoghi che rimangono acquattati dietro angoli della pianura lodigiana preservando un’aurea di distaccata lontananza, come fossero ormai dimenticati. Eppure questa campagna di Soltarico, frazione del Comune di Cavenago d’Adda, è stata popolata nella metà dell’Ottocento da oltre duecento persone e, ancor prima, della chiesa locale, tassata di ben tre soldi imperiali, era insignito un sacerdote che come minimo doveva vantare l’insigne titolo di arciprete. Soltarico, inoltre, era in stretto ed ideale gemellaggio con la vicina Cà del Conte, poiché i nobili Cassino, ricchissimi, tanto da possedere pure un porto privato sulle sponde dell’attiguo fiume Adda, avevano proprietà sia lì che qui.Furono proprio i conti Cassino a donare buona parte di questi possedimenti alle monache di Santa Chiara; la frazione nell’anno 1666 era però feudo di Lodovico Germanico Azzanello. Poco dopo la possessione fu frazionata in diverse proprietà. Nel 1825 uno dei più ricchi proprietari era il barone Antonio Smancini.La storia più recente vuole che Soltarico fosse definita come il “cess” di Lodi: eppure la gente faceva la corsa per venire a mangiare nelle osterie di qui. Vi erano due locali: uno lo conduceva la «sciura» Erminia, mentre l’altro lo curava la “sciura” Rina. In ambedue gli esercizi si mangiava ottimo pesce, e il lunedì tutti i parrucchieri di Lodi, avendo il giorno di chiusura dei loro negozi, arrivavano a frotte.
UN OMETTO ENERGICOA Soltarico, in un pomeriggio carico di luci, che sembra farsi beffe dell’annunciato autunno, sono ospite della famiglia Gazzola, proprietaria della cascina di Mezzo. Capostipite che memoria ricordi fu Luigi Gazzola, nato nell’omonimo paese delle colline piacentine, e che nel Lodigiano approdò nel 1923, andando come affittuario in una cascina di Ossago Lodigiano.Luigi Gazzola era un ometto piccolo di statura, ma carico di energie. La vita gli apparve beffarda quando l’amatissima moglie, Antonia Palestra, gli morì pressocché improvvisamente a soli 46 anni: la donna aveva partorito il loro quinto figlio da poco più di un mese, quando le venne una febbre improvvisa; si mise a letto all’ora di pranzo e per quella di cena era già passata all’altro mondo. Il signor Luigi si trovò vedovo, con un carico non indifferente di figli da crescere; passati dolore e incredulità, cercò una moglie che sapesse essere soprattutto una brava madre di famiglia, e la trovò in Annunciata Squassi di Lodi. I tre maschi decisero di seguire la strada paterna e divennero agricoltori: il primogenito si chiamava Sereno ed era nato nel 1889; poi c’era Giacomo, classe 1894; ed infine Bernardino, che era del 1901; le figlie si chiamavano Maria e Giuseppina.
UN AGRICOLTORE MITEI tre fratelli si fermarono per qualche tempo ancora insieme alla cascina di Mezzo, poi nel 1930 Giacomo e Bernardino si spostarono alla cascina Mairaga di Turano Lodigiano, mentre a Soltarico rimase Sereno con le due sorelle. Malgrado la separazione, gli affari furono condotti sempre concordemente, e le due aziende agricole vennero gestite come fosse un’unica realtà. Il latte, prodotto da 160 capi, veniva conferito alla Polenghi e successivamente, sino alla chiusura dei battenti della stalla, avvenuta nel 1980, alla cooperativa Santangiolina. Il signor Sereno Gazzola è ricordato come un agricoltore mite di temperamento, di una bontà straordinaria, e di una calma inossidabile. Grazie al suo buon carattere appariva sinceramente benvoluto dai contadini, il cui numero era pari a dodici durante gli anni d’oro dell’agricoltura: quattro uomini lavoravano in stalla, ed otto nei campi. Lavoratori di lungo corso, presso l’azienda agricola dei Gazzola, furono gli Ardemagni, padre e due figli, che qui misero radici.
UN FIUTO INFALLIBILEChi dei fratelli Gazzola seguiva il mercato era Giacomo: egli possedeva il classico fiuto per il commercio, ed era il “regiù” di famiglia. Ogni giorno faceva la spola tra Turano e Soltarico e poiché, per essere presente in stalla a controllare che tutto fosse in ordine per la mungitura, s’alzava che era ancora notte fonda, aveva preso l’abitudine di dormire sul calessino trainato dal cavallo, a cui era stato dato il nome di Piero. L’animale conosceva la strada a menadito: arrivato davanti al cancello della cascina di Mezzo cominciava a dare calci con una zampa sull’inferriata per avvisare i contadini del loro arrivo.Giacomo Gazzola era affezionatissimo a quel cavallo; infatti aveva comperato anche un automobile, ma una volta ritiratala dal concessionario l’aveva parcheggiata in rimessa e lì l’aveva dimenticata. Giacomo sembrava avere una sintonia speciale e misteriosa con tutte le bestie. In cascina, ad esempio, vi era un toro tremendo, utilizzato per l’accoppiamento con le bovine. Si trattava di un animale tanto possente quanto brutto, di indole veramente cattiva: i contadini quando dovevano portarlo dal suo recinto nella stalla delle mucche erano letteralmente terrorizzati ed usavano tutte le precauzioni possibili. Malgrado l’attenzione fosse sempre massima, un giorno la sbarra del suo recinto non fu chiusa a dovere: con la forza del collo, il toro riuscì a sollevarla e si mise a trotterellare nervosamente sull’aia della corte; da lì passava, giusto in quei momenti, Giacomo Gazzola: i contadini, affacciatisi all’ingresso della stalla, ingurgitavano terrore a fette e gridavano al loro padrone di darsela a gambe. Il signor Giacomo non esitò un solo istante: si avvicinò lentamente al toro, e gli diede un’affettuosa pacca sul dorso, intimandogli di tornarsene al recinto; il toro gli sbuffò contro in modo rabbioso, gli avvicinò il muso a pochissimi centimetri dal viso, lo annusò lungamente, gli diede un stizzita leccata sul dorso della mano, e, trotterellando com’era arrivato sin lì, se ne tornò nel recinto, tra le grida di giubilo dei contadini.
SEI FIGLI NEI CAMPIGiacomo aveva sposato Giuseppina Magenes, figlia di agricoltori di Lodi, che avevano la propria azienda agricola nel quartiere San Bernardo. La coppia aveva avuto sei figli: Antonia, Elisabetta, Luigi, Maria Luisa, Marcella e Matteo. Ciascuno di loro divenne agricoltore. Un loro discendente, figlio di Luigi, è don Piergiacomo Gazzola, parroco di Comazzo nonché amministratore del Seminario vescovile di Lodi. Le nuove generazioni dei Gazzola crebbero in un contesto di profonda serenità, perché la solidarietà fra la gente rappresentava un valore reale. I vecchi pretesero che i loro figli frequentassero quelli dei contadini, evitando di dare loro privilegi di rango. Gruppi di bambini si muovevano insieme per andare a scuola o alle attività parrocchiali. In quegli anni era prevosto don Costante Codica, parroco di Caviaga, prete di polso, predicatore di altissimo livello, umile nel sapere cercare i parrocchiani uno ad uno per portarli alla funzione, salvo poi mandarli a casa se non indossavano abiti castigati.Intanto i Gazzola avevano acquistato nel 1966 la cascina di Mezzo dal signor Dal Molin: era questi un milanese, commerciante di tessuti, che seguiva distrattamente quel suo bene, affidato ad un amministratore. Però, una volta l’anno, il signor Dal Molin ci teneva a scendere a Soltarico, avvisando i Gazzola anticipatamente della propria visita: ad ogni incontro raccomandava loro di fargli trovare un buon piatto di polenta, e più che agli affari sembrava in realtà interessato alla buona cucina.
ULTIME GENERAZIONIQuando Sereno invecchiò e prese a tirare i remi in barca chiese ai nipoti, figli del fratello Giacomo, di interessarsi dell’azienda agricola di Soltarico: così Antonia, Elisabetta, Maria Luisa e Marcella ebbero in quegli anni un ruolo da protagoniste, affiancate pure dai loro fratelli. Nel tempo, ciascuno dei fratelli Gazzola ha avuto la propria autonoma porzione di terra da seguire, ma lo spirito si è mantenuto identico a quello degli avi, e la famiglia è sempre rimasta unita, tutti pronti a soccorrersi vicendevolmente, a darsi reciproci consigli, a considerare comunque i destini come un patrimonio comune a tutti. Di questa corte oggi restano tanti ricordi e testimonianze del passato, come una targa voluta dal conte Antonio Smancini, che quando era insignito ancora del solo titolo di barone lì dove c’erano (forse) i ruderi di un vecchio castello, dimenticato già dalla notte del tempi, volle erigere una casa colonica, che divenne poi la dimora padronale dei Gazzola. E ogni punto sembra davvero l’infinito insieme di una linea retta, che proietta la propria misura un metro più in là, e ancora oltre...
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