E’ una mattinata incerta, con l’opacità del cielo che si adagia pigramente in ogni possibile orizzonte. Tutto sembra uniforme eccetto che per l’aggrovigliato profilarsi di una foresta di pianura che si staglia ai margini di Caselle Landi. Il mio amico Siro Montanari, la barba perennemente ispida e il sorriso di ampie cordialità, mi sta accompagnando alla cascina Nuova, dove sono atteso dalla signora Chiara Dordoni.Siro, però, la prende larga: ogni angolo è una fermata, scende dall’auto e mi mostra i luoghi più suggestivi del paese, quelli della sua memoria, dei suoi ricordi: s’intenerisce a ripassare la propria infanzia, è un uomo nel cui cuore ogni cosa s’annida, trova posto perenne.La signora Chiara è donna ospitale e agricoltrice di rinnovati propositi: accettata anni fa la sfida - condurre con la sorella Maria Teresa la cascina lasciata loro dal padre -, prova a cogliere ogni nuova opportunità che riveli un’agricoltura naturale e profondamente bucolica. Ma sa anche essere obiettiva ed umile: non avesse avuto l’aiuto del marito, il professor Graziano Chiusa, questa realtà avrebbe chiuso già da anni i propri battenti. Fondamentale, inoltre, il ruolo della sorella Maria Teresa: a lei sono lasciate tutte le incombenze amministrative e burocratiche, che spesso nell’universo agricolo costituiscono motivo di ansia e di arrabbiature.
UNA FAMIGLIA CREMONESE
La famiglia Dordoni è originaria del Cremonese. Il capostipite che memoria ricordi si chiamava Giuseppe, nativo di Vicolo Redegatti, nel cuore di Cremona. Giuseppe Dordoni era ragioniere e occupava un buon posto in un’azienda privata. I suoi conti erano così perfetti da suscitare l’invidia di colleghi più approssimativi. Poiché era uno sportivo appassionato, non appena terminava il proprio orario di lavoro, si precipitava al Po per ampie nuotate e lunghi percorsi di canottaggio. Qualche suo collega, temerario ed invidioso, fece giungere una soffiata al principale dell’azienda: il buon Dordoni - fu malevolmente spifferato - anche durante l’orario d’ufficio era solito dare di bracciate lungo il corso del fiume. Il datore di lavoro ne inorridì e convocò il ragionier Dordoni, chiedendogli spiegazioni. Giuseppe mostrò i propri registri, frutto di un lavoro così meticoloso che non bastava il normale orario contrattuale per riuscire a realizzarlo: più che ore di nuotate, lì si supponevano supplementi di straordinari non riconosciuti. Inoltre, quei conti erano precisi e moderni, basati su validi principi di programmazione. Insomma, il principale più che ammonirlo, gli propose una promozione, chiedendogli di assumere nella sua ditta un ruolo di coordinamento. Ma il ragioniere Giuseppe Dordoni era un uomo orgoglioso e approfittò di quell’occasione per comunicare al suo capo le proprie dimissioni, chiarendogli che lui, da quel momento, avrebbe lavorato solo in luoghi aperti, che privilegiassero il suo ampio senso di libertà.
UN’OCCASIONE UNICA
L’occasione, quando si era ai primi del Novecento, gliela diede la vendita della cascina Nuova a Caselle Landi. Ma per quanto amasse gli spazi aperti, il ragionier Dordoni non seppe immediatamente inventarsi agricoltore e in un primo momento diede in affitto l’azienda agricola alla famiglia Zangrandi, che era originaria di Piacenza, mentre lui rimase a Cavatigozzi, nella campagna cremonese.Nel 1914 - ma poteva essere anche un anno prima -, assimilati interi libri d’agricoltura, si disse pronto al grande salto: congedò gli affittuari, e prese direttamente la conduzione, affiancato dalla moglie Teresa, che invece di terra e di bestiame era assolutamente digiuna. La sua permanenza agricola durò poco perché fu arruolato per il primo conflitto mondiale. Egli, col grado d’ufficiale, si fece tutta la guerra, tanto che la cascina prese una nuova denominazione e divenne per tutti la corte del Capitano. Molti pensarono che quella realtà agricola, nelle mani di chi non era nato agricoltore e da anni si trovava sul fronte senza più dare notizie, non sarebbe durata a lungo.La signora Teresa rivelò in quel periodo il suo carattere di polso: in cascina era tenuto prigioniero, su disposizione delle autorità militari, un manipolo di soldati ungheresi. Come vitto, a questi era riservato soltanto pane ed acqua. Una notte i reclusi riuscirono a disarmare i carcerieri ma, invece di ucciderli e di fuggire, chiesero solo condizioni più dignitose e maggiore cibo: a mediare fra le parti fu la signora Teresa, che si offrì anche di fare da cuoca per tutti.
UN PREDESTINATO
Il ragioniere e capitano Giuseppe Dordoni e sua moglie Teresa ebbero due figli: Mario, nato nel 1905; e Fausto, che era del 1912. Il primo si mantenne distante dall’agricoltura: andò a Milano dove fondò una ditta per la realizzazione di stampe d’arte ed ebbe un’ampia e rinomata cerchia di clienti, che apprezzavano quelle incantevoli riproduzioni. Pur appassionato di cavalli, grazie ai quali vinse alcuni concorsi ippici, rimase assolutamente distante dal lavoro di campagna.A Fausto, invece, toccò proseguire l’impegno agricolo di famiglia. In un certo senso, egli fu un predestinato: era stato mandato a studiare agraria all’Istituto Pastori di Brescia; quegli anni furono per lui formativi ma anche particolari; nel convitto dove alloggiava, ne accadevano di tutti i colori: una volta due montoni si azzuffarono tra di loro, e quello che ebbe la peggio fu servito a tavola, suscitando le ire ed il disgusto degli allievi. La mensa divenne una meta da evitare, così quando la mamma gli fece avere un grande barattolo di marmellata se lo divorò tutto, tanto da dover scappare in astanteria!Nel 1930 Fausto Dordoni andò a Roma, alla Farnesina, per frequentare il corso d’Accademia di Educazione fisica; conseguito il diploma, l’intero suo gruppo fu inviato in America dal Ministero: erano quaranta allievi, tutti in divisa e mantella, più soldati all’apparenza che non sportivi, e vissero una bellissima esperienza, ospitati dal miliardario Bernard Mac Fadden, un salutista unico nel suo genere, che aveva pubblicato sul tema della salute un’intera enciclopedia, aveva fondato una clinica per le cure dimagranti, sposato una miss America, da cui prima di divorziare aveva avuto sei figli; Mac Fadden era un ottimista per natura: quando vide incendiarsi il proprio elicottero, da cui era sceso solo qualche attimo prima, rideva a crepapelle perché pensava che era stato un uomo fortunato avendo evitato per un soffio di morirvi.
DALL’AMERICA ALLA BASSA
Fausto Dordoni aveva scoperto nel Teneessee un’agricoltura appassionante e all’avanguardia. Una notte si trovava con gli amici a passeggiare sui campi quando il gruppo vide una mandria di bovine correre verso loro: Fausto, che era pur sempre figlio di agricoltore, urlò agli amici di proteggersi dietro gli alberi; l’indomani volle andare a vedere da vicino gli animali: e scoprì esemplari splendidi e mastodontici.Rientrato in Italia, Fausto Dordoni andò ad insegnare educazione fisica nella città di Massa Carrara, ma qualche mese dopo il padre gli chiese di essere affiancato nella conduzione dell’azienda agricola. Una volta tornato, la cascina del Capitano di Caselle Landi divenne un avamposto degli Stati Uniti d’America: Fausto fece infatti arrivare la prima mietitrebbia, divisa in pezzi, imballati su casse di legno; al meccanico del paese, Fausto tradusse il libretto d’istruzioni rigorosamente scritto in inglese. Negli anni la cultura americana si rafforzò in lui: nel 1968 importò dal Canada un toro, Houckhall Citation Charmer, ed una vacca, e oggi, quarantaquattro anni dopo, molte delle bovine presenti sono le eredi di quella storica coppia.Fausto Dordoni fu un agricoltore innovativo, e appunto per questo testardo: sulle cose voleva sbattervi la testa ed era sempre il primo a sostenere che ogni novità potesse realmente migliorare il mondo agricolo: così nel 1962 fu tra i primi ad iscrivere le bovine della propria stalla nell’albero genealogico della razza; solo negli ultimi tempi, preferiva tirare i remi in barca, dicendosi disilluso. Nel 1941 Fausto sposò Emma Cervi, originaria della provincia cremonese, cugina dell’indimenticato attore Gino Cervi, che da queste parti veniva spesso non solo per trovare i parenti, ma per memorabili battute di caccia. La signora Emma era una donna moderna: amava leggere, discutere di politica, possedendo un forte senso etico della giustizia; inoltre non disprezzava l’arte della cucina, oltre ad essere un’ottima agricoltrice.
UNA COPPIA SPORTIVA
Fausto ed Emma ebbero due figlie: Chiara, testimone di questa odierna storia, e Maria Teresa, che oggi vive a Codogno con la propria famiglia, ma che col proprio impegno resta un perno fondamentale dell’azienda agricola.Chiara ha sposato il professore Graziano Chiusa, docente dell’Itis a Casapusterlengo. I due si sono conosciuti sui campi d’atletica: lei campionessa nazionale di giavellotto, lui formidabile atleta del salto in lungo. L’impegno imprenditoriale in cascina di Chiara era intervallato anche da una singolare attività: conoscendo le lingue, ha fatto spesso da interprete a giudici di gara per le competizioni riservate all’esposizione di bovine; per i giurati avere la traduzione di chi, per lavoro, avesse dimestichezza con il mondo rurale era un’occasione più unica che rara, così Chiara fu invitata, nel suo ruolo di traduttrice, in diverse città europee. Un’altra passione di Chiara è quella del canto, essendo una delle voci del coro di Caselle Landi: ha un’attitudine come soprano drammatico.Nel 1997 vi fu un anno di svolta per la famiglia Dordoni: morì Fausto; la stessa cascina parve risentirne: vi fu un concatenarsi di coincidenze negative, con un repentino succedersi di bergamini senza che si trovasse una presenza stabile e rassicurante.Molti erano pronti a rilevare la cascina Nuova perché un’azienda affidata a due donne sembrava avere il destino segnato: il mondo agricolo sa a volte essere maschilista, ma la meccanizzazione ha tolto importanza alla forza fisica e i ruoli si sono livellati. Fu in quel periodo, nel momento più delicato, che il professor Chiusa decise di dedicarsi, oltre che all’insegnamento, alle attività di mungitura: per quattordici mesi, sino all’arrivo di un bravo e competente mungitore indiano, il professore e sua moglie Chiara si dedicarono alla stalla.Oggi in azienda vi sono 130 bovine, di cui una settantina in lattazione. Il latte viene conferito all’industria Latte Milano di Peschiera Borromeo.Chiara ci ha preso sempre più gusto: ha fatto un corso di riforestazione ed un altro di permacultura, così da produrre cibo in modo intensivo lasciando fare però ai ritmi ed al corso della natura. Da una zolla di terra si arriva a larghi concetti di fratellanza universale attraverso i beni prodotti. Così la signora Chiara rivela in pieno la spirito dei Dordoni: sperimentare sempre, e non fermarsi mai.
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