Storie contadine della corte Vimagano

Le famiglie Magri e Fazzi hanno a Graffignana le proprie radici

Sto diventando vecchio. Mi continuo a gloriare d’essere un lupo di mare, ma quest’anno ho fatto cilecca col pedalò. L’ho sempre saputo guidare, portando la famiglia oltre le boe, verso gli orizzonti più lontani, dove la spiaggia diventa una lunghissima filiforme striscia appena distinguibile. Ed invece quest’anno niente: il volante era diverso, è un’attenuante. Il pedalò girava su se stesso mentre la corrente ci allontanava. Chiamo il salvataggio, ho pensato, mentre le mie figlie ridevano a largo cuore alludendo ad una mia voglia di scherzare. Poi la più grande, Chiara, ha visto la mia fronte che s’imperlava di sudore, e che davvero non riuscivo più a governare il pedalò: la colpa è di questo manubrio, le ho detto, meglio se lanciamo un sos al bagnino. Chiara, nata a Lodi, adolescente tredicenne di pianura, ha voluto mettersi lei alla guida. Strattonava lo sterzo, con brevi e nervose scosse: da un lato e dall’altro. Ha rimesso in rotta il mezzo. Ha condotto la famiglia al largo - io ancora terrorizzato, mia moglie incredula, la piccolina a cercare di catturare i pesciolini col retino - e poi ci ha ricondotti, dopo un’ora di navigazione, alla base. Sto diventando vecchio, ho detto a Chiara. Sei diventato troppo uomo di zolle padane, ha sdrammatizzato lei. Qual è la verità? Ho posto idealmente in rimessa fiocine e maschere, e rimpianto le cascine del Lodigiano: così belle, così uniche, dove ormai davvero mi sento a casa.

Rincorrendo i ricordi

Sapevo che a settembre avrei visitato la corte Vimagano a Graffignana. Volevo andarci da anni. Almeno da quando un lettore di questa pagina mi fece sapere, mediante una conoscenza in comune, che avrebbe avuto piacere se avesse potuto ripercorrere le vicende umane e storiche di quella cascina: lì aveva trascorso i suoi anni di giovinezza, i migliori, e in quei ricordi coltivava molti dei suoi rimpianti. Ma non vi era modo di accedere a quella corte. Nessuna conoscenza, zero disponibilità. Il caso, la gentilezza di un’abitante di Graffignana, donna Giovanna, ha fatto sì che arrivassi a conoscere la signora Angela Magri, vedova Fazzi, che alla cascina Vimagano arrivò nel 1931, abitandovi per quasi settant’anni.

Di quella corte, la signora Angela, un’ottantacinquenne di formidabile ironia ed energico polso, sa bene l’antichità. I testi di storia patria rivelano che nell’anno 1034 tale località era conosciuta con il nome di Vicomagnano. Nel 1118 furono i coniugi Donadeo e Comitissa a donare la possessione, con lascito testamentario, ai frati del monastero del Cerreto. Importanti miglioramenti alle strutture vennero realizzati nel 1371 quando Galeazzo II Visconti finanziò l’acquisto di materiali edili per costruire abitazioni e per ripianare appezzamenti di terra. Quella fu pure l’occasione per restaurare il castello, opera che riuscì solo in parte visto che solo qualche tempo dopo la struttura era ancora fatiscente e in totale decadenza. Nel 1396 i beni di Vimagano furono ceduti alla Certosa di Pavia.

Ma questa, appunto, è storia patria. Quella che ci riguarda più da vicino vede la possessione divisa in due importanti agglomerati: il primo era costituito dalla cascina Vimagano piccola e il secondo dalla cascina Vimagano grande. Di quest’ultima, popolata da oltre cento contadini, era proprietaria la famiglia Cabrini, che non la conduceva direttamente ma stipulava contratti d’affittanza. Da anni la possessione appartiene alla nobile famiglia milanese dei Gallizia.

Il mulino e l’oratorio

Altra figura storica, alla corte Vimagano, fu quella del mugnaio: il signor Giuseppe Cerri. Il suo molino macinava sopratutto per fornire farina di mais agli animali delle vicine cascine. Ebbi modo di vedere gli ambienti molitori poco meno di dieci anni addietro: ruota, macine e tutti gli ingranaggi erano fermi ormai da moltissimo tempo, ma tenuti benissimo dagli eredi del signor Cerri; sembrava che il molino attendesse l’arrivo di un mago per rimettersi in moto.

Bella anche l’antica chiesetta, più attigua in realtà alla vicina cascina Molina, di cui è appunto una pertinenza; l’edificio sacro era stato reso accessibile a tutti gli abitanti della cascina Vimagano. Era stato il proprietario della corte Molina, il commendatore Ciatto di Roma, a realizzare questo oratorio: la sua azienda infatti era a fondo chiuso e non c’era modo di raggiungerla se non attraversando i terreni della Vimagano. Così per sdebitarsi di questa servitù di passaggio il commendatore aveva detto al proprio agente di costruire tale chiesetta, che divenne meta di numerose comunità contadine. Qui vi celebrò don Piero Novati; e dopo di lui don Antonio Mascheroni.

Una famiglia contadina

Alla cascina Vimagano piccola, dotata di 500 pertiche, vi erano tre famiglie di coltivatori diretti: la famiglia Contini, quella di Ermanno Gianatti, e quella di Luigi Magri, il papà della signora Angela. Luigi Magri era originario di Pandino. Uomo tanto lungo di statura quanto chiacchierone, s’era trasferito a Graffignana nutrendo in cuor proprio qualche rimpianto: gli mancavano i suoi luoghi d’origine, e per quanto fosse affabile e sempre pronto a fare amicizia col prossimo, alla nostalgia non riusciva a mettere freno. Era arrivato alla cascina Vimagano con un fratello: Giacomo. Insieme coltivavano la terra e badavano alla stalla, che vantava a quel tempo una quindicina di bovine da latte. Due volte al giorno si presentava il signor Grilli alla guida di un piccolo carretto; poiché era claudicante, sembrava fare una gran fatica nel caricare i bidoni del latte, ma invece aveva un’invidiabile forza. Egli lavorava per conto del lattaio di Graffignana, Ambrogio Caimi, nella cui posteria si vendevano anche panetti di burro ed altri formaggi. Luigi Magri aveva sposato Orsola Magri, che pur avendo il suo stesso cognome, e pur essendo ugualmente originaria dello stesso paese, non aveva con il marito alcun rapporto precedente di parentela. La coppia aveva avuto tre figlie femmine: Angela, Ancilla e Giuseppina. Ad ogni arrivo, Luigi pensava alla nascita di un erede maschio a cui affidare nel futuro la cascina. Invece gli nascevano solo femmine. Dopo averne avuto tre, pensò fosse meglio desistere perché cominciò ad avere il presentimento che potesse ancora arrivarne una quarta che non il sospirato maschietto. Era comunque legatissimo alle sue fanciulle, che trattava con le giuste premure, pur abituandole sin da piccine alla dura vita dei campi. In ogni caso, la famiglia lo aiutò a debellare la nostalgia per i suoi luoghi d’origine. E in definitiva, anni dopo, Luigi Magri trovò un degno erede nel genero; questi era Mario Fazzi, il compianto marito della signora Angela.

Un degno genero

Mario Fazzi era un agricoltore originario di Villanterio e aveva la propria azienda agricola ad Albuzzano, sempre in provincia di Pavia. Egli si trovava alla cascina Vimagano perché qui aveva preso in conduzione un terreno e quando vi veniva non mancava di passare a salutare i colleghi agricoltori per scambiare quattro chiacchiere. Con Luigi Magri faceva conversazioni interminabili, nel frattempo sbirciando quell’angolo dell’aia dove la giovane Angela curava polli, galline e straordinari fiori invasati. Ad Angela piaceva quel ragazzo intraprendente, che però non sapeva decidersi se vivere a Graffignana o ad Albuzzano; così una visita dopo l’altra, l’amore non tardò a sbocciare. Ma lei, da donna determinata, pose immediatamente una condizione: non avrebbe lasciato mai la cascina Vimagano. Piuttosto, avrebbe rinunciato al matrimonio! Finì che nel 1951 i due convolarono a nozze e partirono, raggiungendo Venezia, per una romantica luna di miele; la signora Angela dopo due giorni aveva già nostalgia di Graffignana e quella settimana di spensieratezza le parve alla fine interminabile. Mario Fazzi fece inizialmente il pendolare: ad Albuzzano aveva le vacche da latte, a Graffignana curava la terra ed aiutava il suocero. Infine si trasferì alla cascina Vimagano, ma sostituì le vacche da latte con un allevamento di tori per la produzione di carni. Era un lavoratore veramente infaticabile, e con grande impegno e molti sacrifici aveva acquisito numerosi terreni, accrescendo considerevolmente la propria azienda agricola. Nella conduzione delle attività necessitava ormai di un aiuto, di qualcuno che lo affiancasse.

Un figlio dottore

Mario e sua moglie Angela avevano avuto quattro figli: Maria, Giovanni, Franca ed Anna. Quando Giovanni, ragazzino, aveva tempo libero, dopo gli studi e soprattutto in estate, papà Mario gli insegnava gli accorgimenti del mestiere agricolo e, senza mai forzarlo, lo appassionava ai misteri della natura e alla bellezza della terra. In cuor suo, sentiva che quel ragazzo, sarebbe stato il suo degno erede: agricoltore di razza come lui, e come i suoi nonni, paterni e materni. Ma queste speranze non tenevano conto di una sottilissima quanto profonda insidia: a Giovanni piaceva studiare; non solo: nutriva una evidente passione per la medicina. Così, finiti gli studi scolastici, pur essendo bravissimo nel destreggiarsi con i trattori, Giovanni comunicò ai suoi che si sarebbe iscritto all’università per divenire medico. Suo padre lo guardò sbalordito. Provò pure a mettere il muso. Ma Giovanni fu irremovibile, volle a tutti i costi seguire la propria strada, e a ventiquattro anni era già il dottor Fazzi. Ora è anche sindaco di Merlino. Quando si laureò, il primo a congratularsi fu proprio il padre. Non lo si era mai visto così felice il signor Mario: la sera, prima di addormentarsi, raccontava alla moglie la propria soddisfazione per la scelta compiuta dal loro figliolo maschio, e che in fondo in fondo lui l’aveva capito da sempre, sin da quando Giovanni era piccolo, che aveva addosso la stoffa del medico. Certo, sarebbe riuscito bene nel fare l’agricoltore, ma averlo con il camice bianco da dottore addosso era comunque una vera gioia.

L’ultimo erede

Purtroppo, ad una settimana dalla laurea, il signor Mario Fazzi moriva in un drammatico incidente di lavoro. Sarebbe stato molto felice nel sapere che nella sua discendenza vi è stato un altro agricoltore di razza: si tratta del nipote, figlio della primogenita Maria; il ragazzo di chiama Simone Fornaroli: ha eccellenti doti nella coltivazione della terra e fa pure l’apicoltore. Da quando sua nonna Angela si è ritirata in paese, ha avuto il grande merito di tenere viva quella porzione di corte della cascina Vimagano, legata alle vicende della famiglia Magri prima e di quella dei Fazzi dopo. Di questo nonna Angela è veramente felice: dai suoi ricordi, che suscitano immagini nitide dei bei tempi passati della corte Vimagano, emerge un’emozione sempre viva e palpitante.

Davvero questa cascina deve avere posseduto, una volta, qualcosa di speciale. Di magico. Il sole qui non tramonta mai. Nasce sempre un nuovo giorno sul profilo dei coppi e sull’orizzonte dei campi.

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