Vado avanti per stupori. La campagna che da Maccastorna s’addentra per Meleti ha qualcosa di veramente unico al mondo. Devo portarvi i miei, di casa Lombardo: convincere loro che ci troviamo nel pieno della giungla, ammirare questa natura mozzafiato, lambire le acque dell’Adda, lasciarsi stordire dal sole abbacinante, stendersi sull’erba ed ascoltare i versi dei rapaci.
n un mite agricoltore
Il mio amico don Luca Maisano mi ha parlato di un anziano e mite agricoltore. A don Luca capita d’incontrarlo quando preferisce meditare sui salmi in simbiosi con la natura, anzichè rimanere in canonica, a San Fiorano. Questo agricoltore conduce una piccola azienda agricola alla cascina Chiavicone; la corte, nella sua semplicità ed essenzialità, deve essere vecchia quanto Matusalemme. Don Luca ha detto che ci vuole poco ad arrivarvi dal Cavo di Maccastorna, dove lui ha casa, e progetta di farne un luogo di confraternita e di pace fra uomini che amino dialogare di Dio. Si potrebbe raggiungere la cascina anche a piedi: sono quattro passi, dice don Luca. Ma forse è preferibile la macchina. Si mette in auto ed io lo seguo con la mia: si procede per interminabili chilometri sull’unica stradina campestre possibile. I pneumatici di don Luca sollevano nuvole di terra, il parabrezza della mia auto se ne lascia avvolgere, non si vede nulla: ed io mi sento così felice, perché persino la polvere qui mi appare esotica, tutto un mondo nuovo da scoprire.
L’agricoltore è davvero mite e parsimonioso di parole, ma è cortese, e lo assimilo immediatamente, lui che è del più profondo nord della Bassa, ad un uomo siciliano: sa che ad un prete non può rispondere di no, don Luca gli sta chiedendo di farsi intervistare da me, e così si rassegna, sconfortato, ma sempre gentile. L’agricoltore si chiama Angelo Cigognini: ha un viso scavato, ed il volto gli è in parte nascosto da un cappelino da lavoro, che sembra proteggerlo, più che ripararlo dal sole, infatti non se ne libera neppure quando siamo all’ombra del soggiorno. Penso che anche in Sicilia gli anziani non si privano mai del loro cappello.
Ed ancora un’altra volta - pur dentro alle sue frasi smozzicate nel dialetto lodigiano - il signor Cigognini mi appare un uomo del sud: quando, ribellandosi alle parole che non escono, mi allunga una piccolissima fotografia, ed in quel gesto c’è tutto: la sua commozione e il mio più totale rispetto per quest’uomo, che so di potere definitivamente annoverare, da oggi, tra le mie amicizie future di lungo corso, di quelle che uno si porta a braccetto per tutta una vita.
n una vecchia foto
La foto risale a sessantacinque anni fa; è ingiallita, e sul bordo inferiore destro ha una macchia che ne nasconde una parte. Al centro c’è un bambino: avrà tre anni, forse quattro. E dietro, disteso, c’è un signore anziano: sorride, e con la mano fa una sorta di sberleffo a chi lo sta fotografando; si vede che il sorriso è forzoso, e che sta dicendo qualcosa al bambino per farlo ridere: ma l’espressione del ragazzino resta corrucciata.
Quel signore anziano si chiamava Giovanni Cigognini, ed era il nonno del nostro Angelo. Si sforzava di portare allegria perché suo figlio, Silvio, papà di Angelo, mancava da casa da cinque anni: era partito per la guerra e nessuno ne aveva più avuto notizie. All’inizio erano arrivate un paio di cartoline. Poi, silenzio assoluto. Nonno Giovanni s’era nuovamente fatto carico dell’azienda agricola, della nuora e dei nipoti e, pur avendo il proprio cuore ammantato di tristezza, cercava di distrarre i nipoti e di regalare loro momenti di serenità. Fu un punto di riferimento fondamentale per la famiglia, nonno Giovanni.
I Cigognini erano originari di Spinadesco, paesino in provincia di Cremona. A spostarsi nel Lodigiano, in un san Martino della seconda metà dell’Ottocento, era stato un altro Angelo, il bisnonno del nostro testimone, che era andato a lavorare come contadino a Cornovecchio. Il bisnonno, messi da parte un po’ di soldi, cercò di migliorare la propria posizione, e divenne l’affittuario della cascina Chiavicone. Era il 1892 ed a quel tempo la corte apparteneva alla famiglia Chiappa.
Il bisnonno aveva assunto questo impegno economico proprio per garantire un futuro più solido alla propria discendenza. Gli subentrò nella conduzione della cascina il figlio Giovanni: l’azienda era di dimensioni molto modeste, con indirizzo prevalentemente cerealicolo, un paio di bovine per il latte a consumo famigliare e un asino. Giovanni Cigognini ebbe dalla moglie quattro figli: due femmine e due maschi; le ragazze sposarono agricoltori della zona; Silvio, il primogenito, continuò le tradizioni agricole alla cascina Chiavicone, mentre il secondo, che si chiamava Angelo avviò un esercizio commerciale a Milano.
n un uomo tranquillo
Silvio era, appunto, il papà del nostro Angelo. Era un uomo molto tranquillo, appassionato del proprio lavoro, desideroso di rafforzare le sorti dell’azienda agricola: infatti, aveva acquistato qualche bovina per realizzare un allevamento delle carni. Silvio s’era sposato con Lucia Spelta, di Meleti, una donna molto dinamica: svelta e magrolina, si divideva tra i lavori in campagna e le faccende domestiche. Sembrava inesauribile. Silvio e Lucia ebbero altri due figli, oltre al nostro Angelo: Annamaria, e Teresio, che preferì andare a lavorare in fabbrica.
Dal dicembre 1940 sino al settembre 1945, Silvio, prima impegnato al fronte, poi prigioniero in Germania, mancò alla famiglia ed alla cascina Chiavicone. Angelo ricorda ancora l’emozione di quando il padre ritornò in cascina: sono immagini labilissime, è incerto se ad accompagnarlo sin davanti l’aia della corte fu un carrettiere, o se si presentò da solo, ma ha ancora bene in mente le sensazioni di gioia, di felicità che attraversarono tutti i componenti della famiglia.
Al ritorno del padre, la vita di corte riprese secondo i consueti ritmi; a quel tempo Angelo frequentava le classi elementari di Maccastorna, che si trovavano al castello del paese; la sua maestra era la signora Annamaria Lucchini, di Corno Giovine, e che poi si spostò a Codogno. Era un’insegnante molto brava in quanto sapeva gestire una scolaresca numerosa e di scolari assai vivaci. Angelo Cigognini ricorda che lui era uno degli studenti che abitava più distante dalla scuola: però, partendo dalla cascina raggiungeva i coetanei delle cascine limitrofe, e, aggregandosi, camminando in fila indiana, formavano un gruppetto molto nutrito. Qui, nel passato, vi era un piccolo agglomerato popoloso: accanto alla cascina Chiavicone, ve ne era un’altra, ormai totalmente distrutta, e vi risiedeva la famiglia Trazzoli.
n la “scuola” della cascina
Finite le elementari, il padre lo tenne in cascina, insegnandogli il mestiere. All’epoca non c’era tanto da scegliere, ma al ragazzino parve ancora di rimanere a scuola, anche se in un ambiente del tutto speciale: suo padre, infatti, era bravissimo a spiegare, andava sempre sui dettagli di ogni cosa, ci teneva che il figlio capisse il perché di ogni singolo gesto, e che comprendesse come la vita non regalasse mai nulla e che ogni lavoro andasse affrontato sempre con dedizione e serietà. Angelo ricorda ancora questi insegnamenti come valori fondamentali della sua vita: gli piaceva la coerenza dei suoi genitori, che alle parole facevano sempre seguire i fatti.
Quando si trattò di imparare, il primo lavoro che gli venne assegnato fu quello di dare da bere ai vitelli; poi apprese come si doveva falciare l’erba. Il trattore è arrivato soltanto nel 1957, in ritardo rispetto alle altre realtà agricole. Papà Silvio lo guardava con sospetto e non volle mai guidarlo. Angelo, no: se ne impadronì subito e lo trovò straordinariamente comodo. Nel frattempo la corte Chiavicone era stata acquistata dai Cigognini e, quando qualche terreno veniva venduto, se limitrofo ai propri, il signor Silvio cercava di fare valere la prelazione e lo prendeva.
n attenzione alla terra
Quando Angelo Cigognini si trovò autonomamente a condurre l’azienda, pensò che l’impegno maggiore dovesse essere rivolto alla terra: si dedicò così alla coltivazione di granturco e frumento. Mantenne però anche un discreto numero di bovine, sempre d’allevamento: alla fine, quando una decina d’anni fa se ne privò definitivamente, aveva ancora 40 esemplari.
La rinuncia al bestiame non ha rallentato i ritmi di lavoro del signor Angelo, che a 71 anni ha ancora un fisico asciutto e nerboruto. Dono di una vita sana e regolare, ma con non pochi sacrifici: alle cinque e trenta del mattino, è già in piedi; d’inverno, durante le giornate più fredde, si concede mezzoretta in più di finto sonno. Ma alle sei attraversa con passo veloce l’aia per raggiungere la campagna.
In questi giorni, ad esempio, sta lavorando il terreno, ripassandovi sopra con il trattore più volte. Quando il letto di semina sarà pronto, dovrebbe essere questione di poco tempo, vi pianterà il granturco. Dopo pochi giorni andrà ad osservare le piantine emergenti. Angelo Cigognini ha un occhio attentissimo ed esperto: gli basta niente per capire se la piantina nasce bene o se è destinata a sfiorire; da come si sviluppa comprende se il terreno ha mantenuto le premesse o ha tradito.
La vita del signor Angelo è cadenzata dalle stagioni: aprile per la semina del granturco, settembre per la sua raccolta; e poi ad ottobre si comincia con il frumento, che si coglierà a giugno. Le stagioni hanno rappresentato, nella sua vita, una bussola per orientarsi.
Oggi, però, è il tempo delle incertezze: Angelo è scapolo, i nipoti hanno scelto altre strade, il futuro appare segnato qui alla cascina Chiavicone, ma i segni della resa hanno origini remote, nei tanti vincoli e negli scarsi aiuti che da decenni l’agricoltura ha ricevuto.
Angelo Cigognini, però, resiste. La sua famiglia è arrivata qui nel 1892 e vi resterà ancora a lungo. Poi, quando sarà il momento, Angelo poserà in una custodia la propria bussola, le stagioni del tempo gli saranno indifferenti, e lui si godrà una vecchiaia simile a quella di tanti altri anziani nel mondo, la campagna di Meleti a cullarlo nei ricordi di tutta una vita.
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