La conquista del signor Antonio

La simpatia di Antonio Gogna, bresciano rude di delicata sensibilità, mi ha conquistato. E sarà anche per la denominazione della sua cascina, Castelmerlino, che questo pomeriggio sembra inoltrarsi come l’effetto di una magia: il cielo è denso di nubi, ha spiovuto da poco, e l’erba delle attigue risaie scintilla lucente; sul sentiero che s’addentra alla corte, osservo il profilo dell’appennino piacentino, si distingue nitidamente la punta del Penice, mentre sulla sinistra s’allunga l’avamposto di Senna Lodigiana, e alle spalle ho appena lasciato l’abitato di Orio Litta.

Un ceppe agricoloIl mio amico Gabriele Rossi, fautore dell’incontro con il signor Gogna, mi ha precisato che questi straordinari prati sono ubicati sotto l’ideale gonfalone di Senna Lodigiana. Lo so. Ma ogni zolla ha una propria patria ed una storia speciale. Come quella del signor Antonio Gogna, che per anni si è chiesto se fosse più forestiero nella sua terra d’origine – quel Bresciano né troppo vicino, né eccessivamente lontano – o nella pianura lodigiana, dove aveva scelto di vivere, andando a braccetto con le incognite dell’esistenza, e affrontandole con piglio coraggioso.I Gogna hanno il loro ceppo d’origine ben piantato nell’agricoltura; gli avi più lontani erano stati boscaioli, mentre il padre del signor Antonio, che si chiamava Giuseppe, aveva fatto anche il mugnaio.Antonio Gogna aveva imparato presto il mestiere, e compreso che in agricoltura se ci si limitasse ad accontentarsi di quello che si possiede, alla fine si andrebbe sotto con i conti, e che l’ambizione di uno che ha scelto questa vita dev’essere quella di ampliare i propri confini.

Un’opportunitàAveva sentito dire che nel Lodigiano acquistare nuova terra era meno oneroso che non nel Bresciano, e che in più si trattava di una campagna fertile, in grado di rendere buoni profitti. C’erano dunque tutte le condizioni per migliorare la propria condizione. Per Antonio Gogna si trattava di un’opportunità a cui assolutamente non voleva rinunciare. La signora Ines Nolli, cuore di mamma, ci aveva provato a dissuadere il figlio: ma Antonio prima aveva fatto finta di non sentire, poi davanti ad ulteriori sue insistenze, l’aveva convinta che non fosse giusto tarpagli le ali, che ciascuno doveva provare a percorrere la propria strada. Mamma Ines comprendeva le sue ragioni: aveva insegnato ai propri figli il valore della sincerità, che la verità rende liberi, anche quando in un primo momento fa arrossire. Da papà Giuseppe, invece, Antonio aveva imparato il principio dell’onestà, consapevole del detto che la farina del diavolo finisce sempre in crusca.Nel 1969, con il fratello Francesco, di due anni più anziano, Antonio Gogna, non ancora trentenne, giunse nel Lodigiano. A fargli la proposta per acquistare un appezzamento di trenta ettari di terra a Corte Sant’Andrea era stato un certo Bianchi, denominato “Muchetu” in virtù del fatto di essere un mediatore di vacche: un uomo tarchiato e robusto, forte, capace come pochi nel condurre le trattative di compravendita. Nessuno aveva però la certezza che l’affare si sarebbe concluso: Antonio Gogna aveva necessità di un mutuo senza il quale non avrebbe potuto procedere all’acquisizione della terra. Fu fortunato: i fratelli Votta, della frazione di Mirabello, proprietari dei terreni, gli diedero il tempo per accedere al finanziamento per la Piccola Proprietà Contadina ed il dottor Nicolò, della Cassa di Risparmio, fece avallare la cambiale dagli stessi venditori. Ottenne anche un prestito con una cifra superiore a quella richiesta. Insomma, ogni cosa sembrava andare per il verso giusto. Ma sottili insidie cominciavano ad incunearsi.

Un inizio difficileQualche agricoltore lo accolse tiepidamente, imputandogli la provenienza bresciana, e facendolo sentire un forestiero. Il signor Antonio è uno che vuole tenersi alla larga dai dispetti: li teme come si detesta la gramigna. Non li vuole fare e non ama riceverli. Guai dunque a provocarlo. Gli altri lo escludevano? Allora lui si metteva ancora più al centro dell’ambiente bucolico e acquistava nuova terra, anche accollandosi spese che gli toglievano il fiato, ma col desiderio di mostrare al mondo intero che nessuno l’avrebbe scoraggiato, e che si può essere bravi agricoltori, quando si ama il proprio lavoro, da dovunque si provenga.Gli inizi non furono semplicissimi. La terra era umida, piena di buche, tutta cunette e dossi. Antonio Gogna si ingegnò in ogni modo: livellò gli appezzamenti, raddrizzò le stradine campestri, riassettò i fossati e li chiuse laddove inutili. Realizzò una moderna opera di bonifica, completata con un funzionale impianto di irrigazione, così che l’acqua fosse convogliata e poi defluisse ai campi attraverso bocchette in calcestruzzo.L’impegno di Antonio appariva inesauribile: stava sui campi dalle cinque del mattino alle nove di sera, e la moglie, la compianta signora Maddalena Migliorati, non riusciva a trattenerlo neppure proponendogli pranzetti succulenti, perché il suo pasto, per non appesantirsi e rimanere ben vigile sul trattore, consisteva in tre soli fichi secchi.Quantunque sino al 1987 avesse mantenuto una discreta stalla con bovine di latte, la passione di Antonio è sempre stata rivolta ai campi. Se per ogni ettaro è necessario destinare 50 kg di concime, lui abbonda e ne riversa 10 kg in più. Non riesce a coltivare un appezzamento meglio di un altro: gli sembrerebbe di perpetrare una discriminazione verso il terreno svantaggiato. I campi sono per lui come devono essere i figli: tutti uguali. Sono un suo pensiero costante: persino quando si concede un riposino, venti minuti dopo pranzo, massimo mezzora, si sveglia con in testa un lavoro che deve fare per la sua terra. Nel 1987, Antonio Gogna prese in affitto anche i terreni della cascina Castelmerlino e sei mesi dopo ne acquistò l’intera possessione dal dottor Giuseppe Paina, commerciante ed agricoltore. Nel 1991 invece vendette i suoi primi famosi trenta ettari di terra ad un noto e stimato agricoltore di Orio Litta, ed acquistò la cascina Marianne la cui denominazione fu modificata in San Giuseppe, in ricordo del padre: questa corte è oggi condotta dal figlio del signor Antonio, Giuseppe come il nonno, un uomo di 46 anni, riservato ma dalle idee solide e concrete, uno che conosce bene il proprio mestiere. L’altra figlia si chiama Mariagrazia e si occupa della contabilità dell’azienda agricola.

Una solida amiciziaLe radici ormai erano ben innestate nel Lodigiano. A rinsaldare i vecchi legami con la terra d’origine si manteneva però un rapporto d’eccellenza: la famiglia Gogna, infatti, è amica di monsignor Giacomo Capuzzi, per anni vescovo di Lodi. Durante l’epoca bresciana, tra il papà di monsignore, Angelo, ed i Gogna, c’era un rapporto di vicinato: Antonio, all’epoca un ragazzino, lo vedeva lavorare nei campi e cercava di carpire i segreti del mestiere. Monsignor Capuzzi è stato qui anche a pranzo, in alcune occasioni, e di lui i Gogna hanno sempre apprezzato la semplicità e la schiettezza. Monsignore avrà avuto modo di apprezzare le risaie, un’altra scommessa vinta dal signor Antonio. Quando quest’ultimo ne sentiva parlare dagli altri agricoltori, gli sembrava di cogliere un senso di sufficienza nei suoi confronti, come se la coltivazione del riso fosse riservata ad una cerchia esclusiva: questo scetticismo, appena percepito, lo irritava e gli diede l’estro per realizzare una risaia; prima cinque, poi dieci ed oggi sono già centotrenta gli ettari coltivati a riso.

In attesa di una svoltaAdesso, che la crisi economica non ha risparmiato il settore cerealicolo, il signor Antonio non può che fare buon viso a cattiva sorte ed attendere che il treno dell’economia si rimetta in moto. A suo avviso occorre una Unione europea in grado di imprimere una svolta e valorizzare l’agricoltura, mentre oggi si è vincolati da un numero abnorme di leggi sprovviste di trasparenza: gli è capitato di affrontare alcune spese nell’assoluta convinzione di potere ottenere un finanziamento in parte a fondo perduto per poi essere avvisato, solo dopo tempo, che la sua istanza non era stata presa in considerazione. Il futuro è comunque delle nuove generazioni. Ai propri figli, il signor Antonio indica la strada maestra: accedere ad un bel mutuo! Per imparare ad osare. Come fece lui nel 1969. Lasciandosi l’amato Bresciano dietro alla spalle, e proseguendo verso un futuro tutto da conquistare.

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