Omicidio Bolzoni: altri tre sotto torchio. In carcere al momento restano due persone

Lodi I carabinieri grazie al Gps del telefono ricostruiscono la serata della vittima

Lodi

Altre tre persone messe “sotto torchio” nei giorni scorsi dalla Procura e dai carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Lodi per l’omicidio con 35 e più coltellate di Roberto Bolzoni, il 60enne disoccupato trovato morto dalla moglie cinese nella Volkswagen Golf bianca di famiglia lo scorso 18 febbraio, con la morte che appare databile alla serata di domenica 16, tra le 21 e le 22, tre mesi fa.

In pochi giorni gli investigatori avevano raccolto indizi tali da sottoporre a fermo, per le accuse di omicidio volontario e rapina, due uomini, zio e nipote tra loro. Roberto Zuccotti, 48 anni, di Crespiatica, pregiudicato per un reato contro il patrimonio, e il suo nipote Andrea Gianì, 29, di Lodi, che quella domenica erano andati a giocare con Bolzoni alla Snai di via Villani nel tardo pomeriggio, fino alle 18.10, e che poi si erano fatti riaccompagnare da lui in auto in via Precacesa nella casa di Gianì. Sulle loro scarpe tracce di sangue «compatibili», scrivono i carabinieri del Ris di Parma, con il Dna di Bolzoni. Ma il Procuratore Laura Pedio e il pm Martina Parisi non si accontentano ancora di quella «compatibilità».

E così, un mese fa, un supplemento di indagini, con un nuovo accertamento sulla salma di Bolzoni per provare a capire se a ferirlo con una lama di piccole dimensioni, al volto e al torace, possano essere state una o due persone. Dagli specialisti di polizia scientifica dell’Arma la Procura attende ancora diverse risposte. Intanto però tre uomini fra i 30 e i 40 anni sono stati sottoposti a perquisizioni domiciliari e interrogatori serrati. A qualcuno di loro è stato anche prelevato il Dna. Non sono però indagati. Si tratta di un giovane uomo amico di Gianì - il 29enne che continua a ripetere da mesi di non sapere niente dell’omicidio - di un vicino di casa di Bolzoni, e di un terzo, tra i 30 e i 40 anni. Una delle piste che si battono è quella della ricettazione dell’anello e della collanina d’oro spariti a Bolzoni.

«Il mio assistito può aver detto delle imprecisioni - osserva l’avvocato Alessandro Corrente, che difende Gianì - ma i tasselli del puzzle che stanno emergendo man mano vanno a confermare il suo racconto di quella serata». Cioè che attorno alle 18.30 sarebbe rincasato nel palazzo di via Precasesa in cui abita con i familiari e che poi solo attorno all’una di notte - e questo si era dimenticato di dirlo - era uscito, fermandosi però sul cancello di casa, per accompagnare con la propria madre lo zio Zuccotti fino all’auto del figlio di lui che lo aveva poi riportato a Crespiatica». Con un borsone, perché dopo un periodo da ospite da sorella e nipote, Zuccotti sapeva che doveva finire in carcere per un vecchio furto. Gianì nei giorni scorsi è stato riportato in cella a Lodi dopo un periodo molto sofferto a San Vittore.

Zuccotti, che invece resta in carcere a Milano, si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere. Ma quella domenica il gps del suo smartphone era attivo, e lo collocherebbe in piazza Omegna anche dopo cena. E questo, unito a una chiamata telefonica tra Bolzoni e Zuccotti attorno alle 20.30 di quello stesso 16 febbraio, può fare pensare che si siano magari anche visti. Anche Bolzoni aveva il gps del telefonino acceso, ma c’è un “buco” tra le 20.45 e le 21.30, che al momento appare difficile da spiegare: o è stato in un sotterraneo, magari in un box, oppure la batteria del suo Iphone era particolarmente bassa e perciò la ricezione del segnale satellitare meno efficiente.

La Procura di Lodi appare convinta che almeno due persone sappiano molte cose e non le abbiano dette. Una delle piste che si battono è quella della rivendita dei due preziosi che Bolzoni aveva sempre addosso e che dopo l’accoltellamento non aveva più. Si esclude invece che il ritrovamento in via Precacesa, in un tronco cavo di fronte a casa di Gianì, del portafogli (svuotato dei soldi) e dell’Iphone del 60enne ammazzato sia un “complotto” di terzi ancora ignoti, viene ritenuto invece una leggerezza commessa da persone già indiziate. Magari nell’agitazione dopo aver commesso un omicidio «d’impeto», con un’arma improvvisata, che potrebbe essere scattato nell’auto di Bolzoni per una lite perché qualcuno doveva dei soldi a qualcun altrro e alla fine il denaro non era mai arrivato. Da qui, la rapina di contanti e preziosi al morto, perché forse non era solo una questione di principio, ma quei soldi servivano per vivere. Ma è una delle ’ipotesi, le indagini vanno avanti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA