
Luini, una storia che parte da Lodi
IL RE DEI PANZEROTTI Originario di Corte Palasio, il fornaio di Milano compie 94 anni e racconta la sua avventura
Se fosse arrivata quella stretta di mano . Se quell’ amore fosse stato amore. C’è un posto in corso Roma a Lodi che avrebbe avuto un altro nome. Che fine fanno le (prime) scelte non inverate? «Con quello che mi è capitato potevo morire dieci volte» dice con un sorriso aperto Luigi Luini, il “re dei panzerotti”, come lo chiamano a Milano. Invece l’1 luglio ha compiuto 94 anni. Già autore della sua biografia Volevo solo fare il panettiere , il titolare della storica bottega milanese Panzerotti Luini in via Santa Radegonda 16, a cinque minuti dal Duomo, ha davvero una storia di sliding doors da raccontare. E origini lodigiane. Quel primo luglio 1931 infatti nasce a Corte Palasio, frazione Terraverde. Dove il padre Agostino lavora in un forno in paese. E la madre Giuseppina dà una mano alla famiglia che gestisce una trattoria di cucina pugliese, omaggio alla propria terra. I due s’innamorano e si sposano, e dalla loro unione nascono tre figli: Luigi è il secondogenito, unico maschio tra due sorelle. Quando ha tre anni, la famiglia lascia Corte Palasio per trasferirsi a Lodi Vecchio, dove i coniugi Luini rilevano una posteria chiusa da tempo, e tra mille sacrifici riescono a farla ripartire. È qui che il piccolo trascorre l’infanzia, tra partite al pallone e oratorio. «Si usciva la mattina e si tornava a casa quando c’era da mangiare – ricorda il 94enne -. Allora si andava dove si voleva, non era come adesso che i figli sono tutti controllati». Una vecchia foto lo ritrae su una macchina giocattolo insieme a una sorella. Sono giorni “intatti”, senza nuvole, ma il nero è all’orizzonte. Siamo negli anni del secondo conflitto mondiale e la guerra irrompe con tutta la sua violenza anche a Lodi Vecchio. «In paese c’erano i tedeschi» ricorda Luini mentre rivive il terrore di quei mesi. «Una volta io e i miei amici con la fionda, il “tirasassi” come si chiamava, abbiamo tirato le bombolette che esplodevano, in un cortile dove stavano i tedeschi. Venne fuori un maresciallo che si era spaventato e mi diede uno schiaffo». Si era allora “prigionieri” in casa propria. La libertà perduta nella paura. Luini scorre il nastro. A quando la speranza nella liberazione si mischia ad un accadimento drammatico. «Le colonne dei tedeschi cominciavano ad andare verso casa – prosegue, assecondando il flusso della memoria -. A Lodi Vecchio c’erano due colonne e i nostri partigiani non volevano farle passare. Allora il comandante dei tedeschi disse che non se li avessero lasciati andare, avrebbero distrutto il paese. Così hanno fatto passare una colonna, l’altra invece è stata distrutta dagli apparecchi degli americani». Poi la voce s’incrina: «Noi ragazzi andavamo a raccogliere qualcosa di quello che era rimasto delle colonne e una volta in cui io non c’ero, alcuni miei amici hanno preso una bomba e l’hanno “fatta” scoppiare. Un bambino è morto, un altro è rimasto ferito alla gamba e poi non riusciva più a lavorare. Gli dicevano “devi andare in pensione”, ma in pensione non poteva andare e non gli davano lavoro».
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