Lodi, il caso dei danni di “Bancopoli”: avvocati al lavoro da 17 anni

Revocate cessioni di beni di un ex amministratore

L’azione di responsabilità contro gli ex membri del consiglio di amministrazione e dell’organo di controllo della vecchia Banca Popolare di Lodi fu votata dall’assemblea dei soci dell’allora Bpi nel giugno del 2007, per fatti avvenuti fino all’estate del 2005, quando scoppiò lo scandalo dei “furbetti del quartierino” e delle scalate bancarie, ma sono passati diciassette anni e la giustizia civile è ancora al lavoro sugli infiniti strascichi di quel contenzioso milionario. È di queste ore infatti la pubblicazione dell’ordinanza della Cassazione che conferma la revocatoria (annullamento) di una donazione di quote societarie e del 50 per cento di una vendita di immobili effettuate da uno dei componenti del comitato esecutivo dell’era Fiorani, il cavalier Francesco Ferrari, a favore del figlio. A coltivare l’azione legale contro l’ex amministratore c’è il Banco Bpm, l’istituto nato dalla fusione tra le Popolari di Lodi e di Milano. Nel 2008, anche il cavalier Ferrari fu citato dai legali della banca nell’ambito dell’azione di responsabilità, ma nel 2015 il tribunale civile di Lodi respinse le richieste di risarcimento perché non avrebbero tenuto conto, nella quantificazione delle pretese, delle transazioni che nel frattempo erano intervenute tra la banca e gli ex amministratori citati Gianpiero Fiorani, Silvano Spinelli e Desiderio Zoncada. I legali della banca appellarono subito questa sentenza e nel 2020 la corte d’appello civile di Milano riconobbe all’istituto il diritto a essere risarcito del danno patito dagli ex amministratori per un totale di oltre 120 milioni e 330mila euro; tra i condannati, in solido, anche il cavalier Ferrari. Il quale nel frattempo aveva donato al figlio nel novembre del 2013 la nuda proprietà del 25% della principale azienda di famiglia mentre nell’ottobre del 2012 gli aveva venduto diversi immobili: secondo i legali della banca queste operazioni sarebbero state compiute dall’ex componente del comitato esecutivo di via Polenghi Lombardo in pregiudizio di garanzie cui l’istituto avrebbe potuto attingere per soddisfare le proprie rivendicazioni. E così nel 2015 la banca aveva citato in giudizio il cavaliere e il figlio ottenendo che nel 2019 il tribunale di Lodi stabilisse che donazione e vendita non avevano effetto nei propri confronti. Proprio questa sentenza è stata impugnata dai Ferrari, dapprima in appello e ora davanti alla Cassazione, che però infine ora confermata, ritenendo legittimo sostenere che il figlio non poteva non sapere della richiesta di danni pendente sul padre. Secondo i legali della famiglia però ci sarebbe una sproporzione tra le garanzie rivendicate dalla banca e il risarcimento eventualmente dovuto come ex componente del board dell’istituto, e tra l’altro la banca sarebbe già garantita da un sequestro che aveva ottenuto tempo fa in Svizzera.

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