
Il reparto a Santa Chiara per gli stati vegetativi: «Siamo la voce di chi non ce l’ha» VIDEO
LODI In via Gorini l’unico nucleo della provincia di Lodi, è dotato di otto letti

L’ecografo e le radiografie qui non hanno quasi posto. Le diagnosi, nell’unità degli stati vegetativi, a Santa Chiara, si basano prevalentemente sulla relazione umana. La sensibilità e l’attenzione sono i requisiti principali di medici, infermiere e operatrici socio sanitarie.
«Distinguiamo i nostri pazienti da un colpo di tosse - dicono - e loro ci riconoscono dalla voce. Per questo parliamo loro in continuazione». La sezione della casa di riposo di via Gorini è l’unica dedicata alle persone in coma della provincia di Lodi. I letti sono 8 e alcuni pazienti sono ospiti qui da 15 anni.
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«A predominare è la qualità emotiva del lavoro - spiega la coordinatrice infermieristica Nicoletta Oancea -. La maggior parte delle persone riconosce il nostro timbro vocale, noi siamo la voce di chi non ce l’ha. Quando sono stanchi o sotto stress, ci sentono parlare e si rilassano. È un’esperienza bellissima. È un lavoro che richiede molta sensibilità. Non è da tutti. Tutti noi operatori siamo uniti e i parenti fanno parte dell’equipe. Siamo una grande famiglia». Insieme a Oancea abbiamo incontrato Annamaria Ferrari, educatrice professionale, Caterina Rizzi, fisioterapista, Roberto Adussi, dirigente medico e geriatra e Bianca Coman operatrice socio sanitaria. «Qualche tempo fa una nostra residente è andata in pronto soccorso, quando è tornata era agitatissima - raccontano gli operatori - appena ha sentito la nostra voce si è tranquillizzata». «Più delle terapie contano le relazioni - annota il medico -. Questa è la mission del reparto. La condizione clinica è irreversibile quando arrivano da noi: spesso hanno il catetere, la tracheotomia, la peg, vanno aiutati nelle loro funzioni. Sono pazienti relativamente giovani rispetto agli altri ospiti della casa di riposo e la loro condizione è di estrema fragilità. Sono persone in coma, ma noi riusciamo a somministrare la scala del dolore. C’è da parte nostra un’empatia totale con l’ospite e c’è un grande spirito di equipe. Se non c’è lavoro di squadra non funziona nulla». Gli operatori devono indossare degli occhiali diversi rispetto a quelli che si indossano negli altri reparti: «È molto importante cogliere i piccoli segnali - spiegano -, capiamo quando una postura è disturbante, se il paziente ha la febbre o va cambiato. Non si usa la semeiotica classica che ci insegnano all’università, qui serve un altro codice, quello dell’osservazione. Dobbiamo intuire e intervenire subito perché parliamo di malati fragili. Nessun paziente ha una piaga da decubito. Abbiamo i materassi speciali, ma poi i pazienti hanno una nutrizione equilibrata, vengono mobilizzati, messi in poltrona, portati in giardino. Qualcuno è entrato qui che aveva piaghe al quarto stadio, adesso è guarito. Abbiamo solo due pazienti con il catetere, gli altri hanno solo il pannolone. Non parlano, ma il dialogo è il nostro pane quotidiano».n
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