DISAGIO IN CRESCITA Scuola, venti sospensioni all’anno negli istituti medi di Lodi

Si abbassa l’età dei comportamenti devianti. «I ragazzi vanno accompagnati dagli adulti a capire che sono migliori di quello che sembra»

Devianza adolescenziale, un fenomeno in aumento dal 2020 in poi, che si riflette a scuola: sono circa 20 all’anno le sospensioni firmate dai presidi delle scuole medie della città. «Per quanto ci riguarda - annota la dirigente del comprensivo Lodi 3 Stefania Menin - su 400 studenti, quest’anno siamo intervenuti 4 volte (in 2 casi per le ragazze che erano finite sulle pagine di cronaca in seguito alle incursioni in centro). Prima di sospendere parliamo con la famiglia. Lo scopo è sempre educativo. Il sabato abbiamo sempre i rientri nell’ambito dell’educazione civica: facciamo in modo che i ragazzi si sentano protagonisti. Abbiamo introdotto anche la figura della psicologa a sostegno di studenti e famiglie, fin dalla terza elementare perché abbiamo notato un abbassamento dell’età anagrafica, nei comportamenti devianti. Ci troviamo di fronte a una povertà educativa notevole. Stefano Contardi poi porta avanti dei progetti sul bullismo. Ogni mese facciamo il punto con l’ufficio di Piano. Ogni scuola ha il suo referente. La dottoressa Carla Mazzoleni ha organizzato molto bene l’attività».

Anche al Cazzulani del comprensivo Lodi 5, che ha 590 alunni, le sospensioni sono in media 4 o 5 all’anno. «C’è sempre un accordo con la famiglia - commenta il preside Demetrio Caccamo -. Quando un alunno resta a casa ha sempre un compito da svolgere, una riflessione sull’accaduto. I genitori sono sempre stati molto collaborativi».

Da settembre, alla media del Ponte, che accoglie circa 250 alunni, le sospensioni sono state 2. «Anche noi - spiega la dirigente Benedetta Del Monte - collaboriamo con le famiglie. I ragazzi vanno a casa e svolgono un lavoro di riflessione sulle motivazioni dei loro comportamenti».

Alla Spezzaferri di San Bernardo, le sospensioni sono lo strumento utilizzato, annota la dirigente Carmela Riganò «dopo 8 note di fila. In genere gli interventi sono per le foto fatte e diffuse con il cellulare o per l’uso in generale del telefonino che è vietato e la mancanza di rispetto verso gli altri. Le nostre sospensioni avvengono per fatti gravi, sono concordate con il consiglio di classe e la famiglia, mai fini a se stesse, ma con un risvolto educativo: i ragazzi sono invitati a riflettere sui loro punti di forza, per valorizzarli e sui loro limiti per superarli. A volte si fanno svolgere i lavori utili a scuola, ma poi c’è sempre il problema della vigilanza. Dopo il Covid i ragazzi sono peggiorati. A volte la sospensione serve anche per dare un segnale alla classe sulla gravità dei comportamenti o sono gli stessi genitori che ci chiedono aiuto».

«All’Ada Negri - spiega la preside Annamaria Zecca - l’anno scorso abbiamo avuto una sola sospensione. Anche da noi i ragazzi riflettono sul corretto comportamento da tenere nella collettività. In genere si scelgono letture o approfondimenti connessi al tipo di atteggiamento su cui fare una riflessione. Si agisce con la formazione: il sabato facciamo educazione su temi come la sicurezza stradale e l’uso dei social: si cerca di stimolare i ragazzi ad avere comportamenti corretti senza ricorrere alla sospensione che pure ha la sua validità».

Per la lodigiana Chiara Baldini, referente scolastica della dispersione, ma alle superiori (prima all’Einaudi ora a Morbegno) «le sospensioni scolastiche che lasciano solo il ragazzo a casa non vanno bene: si lasciano gli adolescenti già in difficoltà nel loro disagio - annota -. Si dice: “Tu hai i tuoi problemi, ti puniamo anche noi”. Ho dei dubbi anche sulle sospensioni educative che vanno tanto di moda. Credo che i ragazzi vadano occupati. Non è scontato che capiscano che stare a casa a riflettere sia una opportunità educativa. Il ragazzo che commette un errore va accompagnato a rimettersi in gioco, con l’aiuto di un tutor. Prima di tutto ci vuole il dialogo, offrirgli uno spazio al racconto di sè. La scuola deve essere un ambiente che accoglie, non che esclude. Bisogna passare del tempo con loro facendo cose utili per tutti, per far vedere che anche loro sono capaci».

Baldini, proprio in questi giorni, nel suo istituto tecnico sta accompagnando i ragazzi di una classe difficile. «Le mie colleghe uscivano in lacrime, disperate dall’aula, tutta a rischio dispersione - racconta -. Ho fatto un progetto sulla giustizia riparativa, durante le ore di religione, portando in classe anche chi aveva l’esonero. Il primo giorno sono entrata in classe e qualcuno ha esordito così: «Ma che c.... devo fare io per avere un’ora libera? Anche questi progetti di m...”. Piano piano, invece, hanno capito che non ero l’ennesima persona che entrava per sgridarli. Hanno visto che parlavo di altro. Hanno capito che possono provare a non essere per forza i cattivi, ma anche quelli che aiutano gli altri a diventare migliori. Abbiamo visto l’inizio del film tratto dai “Miserabili”, ovvero “La promessa” che racconta la figura del galeotto che esce dal carcere, viene accolto dal vescovo, nella notte gli dà un pugno, gli ruba l’argenteria e quando gli agenti lo fermano e lo riportano dal vescovo chiedendogli di fare denuncia, lui dice: “No, no, ho donato io l’argenteria, anzi volevo dargli anche i candelabri” e glieli porta. “Perché avete mentito per me?”, chiede lui. ”Con questo argento compro la tua anima - dice il vescovo -, vai, con la promessa di costruire un futuro migliore”».

I ragazzi sono rimasti scioccati. «I romanzi dell’800, in genere - dice Baldini - funzionano benissimo perché spiazzano. Nel secondo quadrimestre voglio bombardarli di esperienze di servizio, nella mensa dei poveri, nelle residenze per i disabili, per i tossicodipendenti, con i bambini in ospedale. Ha molto più senso del pistolotto teorico in classe. “Poche parole, più azioni” è il mio slogan».

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