SOMALIA Le donne reporter rischiano la vita contro la violenza

L’editoriale del giornalista lodigiano e inviato sui fronti di guerra Daniele Bellocchio

Il 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne, in tutta Italia si svolgeranno sit-in, manifestazioni, flashmob, proteste, occupazioni e cortei. E quest’anno, in particolar modo, il 25 novembre sarà una giornata permeata da rabbia, indignazione e dolore perché le mobilitazioni saranno tutte in nome di Giulia Cecchettin, la giovane 22enne uccisa dall’ex fidanzato l’11 novembre e il cui corpo è stato rinvenuto sabato 18. Fare rumore, non cedere il passo al silenzio, all’indifferenza, all’oblio, fare rumore perché non si registrino più femminicidi, maltrattamenti psicologici e fisici. Fare rumore, sì, e farlo denunciando le violenze, ma farlo anche raccontando l’impegno e il sacrificio delle donne che nel mondo lottano per uscire dall’anonimato, dalla subordinazione, dalla reclusione o addirittura da una condizione di apartheid di genere come in Afghanistan o in Somalia. Ed è proprio dalla Somalia che arriva una delle storie maggiormente icastiche e impressionanti dell’impegno femminile nella lotta per la parità di genere. A Mogadiscio, la capitale dell’ex colonia italiana, il primo Paese fallito della storia, sconvolto dagli anni ’90 a oggi da un irremeabile guerra civile e dove la formazione jihadista Al Shabaab controlla ampie porzioni della nazione africana, è nata un’emittente tutta al femminile che fa informazione per le donne, contro le violenze nei confronti di madri e bambini e composta da un team di reporter che, per fare luce sulla condizione femminile nel Paese africano, ogni giorno, rischiano la vita perché costantemente minacciate da integralisti islamici e uomini somali che non accettano la presenza di donne armate di taccuino e videocamera per le vie delle loro città. Bilan, che in somalo significa “fare luce”, è il nome della testata femminile di Mogadiscio che nei suoi pochi mesi di vita ha già portato alla ribalta delle cronache temi tabù nello stato del Corno d’Africa come l’epidemia di droga tra la popolazione femminile, la diffusione dell’Hiv e le mutilazioni genitali. Fathi Mohamed Ahmed è la caporedattrice della testata somala e al quotidiano inglese The Guardian ha raccontato: “Quando mio padre scoprì la verità, ovvero che avevo intrapreso questo percorso professionale, mi disse di smetterla immediatamente. Lavorare nei media avrebbe distrutto il mio futuro e avrebbe portato vergogna a tutta la famiglia, diceva. Gli risposi che non potevo fermarmi, che il giornalismo era la mia vocazione. Alla fine ha ceduto e ora tutta la mia famiglia è orgogliosa di me e del mio lavoro”. Sebbene sia sostenuto dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), la storia di Bilan non è stata facile o esente da rischi . “Ci sono state minacce da parte di funzionari governativi e gruppi islamici, i familiari di una nostra collega sono rimasti gravemente feriti in un attacco contro di lei. E tutti noi rischiamo la vita ogni giorno poiché viviamo in un paese in cui il più piccolo dei problemi si risolve con una pistola”. Ha spiegato la fondatrice di Bilan che poi ha proseguito dicendo: “Ci troviamo di fronte ad abusi anche semplicemente perché andiamo a lavorare. La gente ci urla contro in pubblico dicendoci di tornare a casa”. Con più di 50 operatori dei media uccisi dal 2010, la Somalia è il luogo più pericoloso in Africa, e anche nel mondo, per i giornalisti. Ed essere una donna giornalista significa votare la propria vita all’informazione e alla causa dei diritti delle donne. “Bilan ha rivoluzionato l’agenda delle notizie in Somalia”, ha affermato Abdallah Al Dardari, direttore dell’Ufficio regionale per gli Stati arabi del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite all’agenzia Reuters che ha aggiunto: “con la loro voce unica stanno creando una domanda di cambiamento e di un migliore trattamento delle donne e delle ragazze che non può essere ignorata”. La caporedattrice Fathi Ahmed ha poi chiosato: “Oltre alle minacce riceviamo però anche tante parole di incoraggiamento, soprattutto da donne ma anche da alcuni uomini, della società somala. Per il nostro futuro abbiamo grandi progetti, vogliamo portare Bilan anche nell’entroterra, nelle aree rurali, dove la situazione è estremamente critica e noi donne di Bilan non dobbiamo darci per vinte o farci intimorire, mai. Se noi, che siamo donne somale, riusciamo a vincere qui in Somalia dando vita al nostro sogno e voce alle nostre concittadine, significa allora che c’è speranza e possibilità di riscatto e giustizia per tutte le donne del mondo”.

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