Occupazione record ma il paese viaggia a tre velocità

Manca una “politica industriale”, forse dobbiamo copiare un po’ la Spagna

Era da oltre quarant’anni che non si registrava un così basso numero di disoccupati in Italia, con l’eccezione del 2007 (ma l’anno dopo iniziò una delle peggiori crisi economiche della nostra recente storia). La percentuale di persone occupate ha superato il 61%; il tasso di disoccupazione a maggio (dati Istat) si era attestato al 7,6%, ma è destinato a scendere. Insomma, la mancanza di un lavoro non è più il problema numero uno degli ultimi decenni. Tutto bene dunque? Fino a un certo punto. L’Italia è una, ma in realtà – almeno su questo tema – è divisa in tre parti: un Nord in piena occupazione; un Centrosud a macchia di leopardo; le due isole ancora in notevole difficoltà. A Nord ci sono territori (semplificando: tutta la prealpina da Varese a Udine; certi distretti industriali emiliani e piemontesi; le zone turistiche) in cui la disoccupazione praticamente non esiste, anzi si soffre la mancanza di personale da assumere. Un problema che non è folcloristico: il Nord è la locomotiva d’Italia, se manca il carbone per alimentarla, rallenta tutto. Mancano molte, troppe figure professionali di un certo livello, mentre quelle “autoctone” se ne vanno all’estero (decine di migliaia di laureati ogni anno). E chi, dall’Olanda o dalla Danimarca, verrebbe qui a lavorare con retribuzioni che sono la metà di quelle offerte a pochi chilometri dalle loro case? Non siamo attraenti, non siamo attrattivi.

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