Lo sbarco in Normandia oltre la narrazione ricorrente

HISTORIA Ottantuno anni fa, il 6 giugno, l’operazione Alleata che liberò l’Europa dalla dittatura nazifascista

Il 6 giugno ha segnato l’ottantunesimo anniversario dello sbarco in Normandia da parte delle truppe Alleate. Una massiccia operazione militare che ha sancito un punto di svolta nella Seconda Guerra Mondiale e, complessivamente, nella logistica bellica. La narrazione di questa straordinaria impresa non è omogenea. Naturalmente, diversi significati sono stati riscontrati dalla storiografia tedesca rispetto a quella anglo-francese. Tuttavia, anche fra gli Alleati non sono mancate le voci dissonanti. Il “D-Day”, il “giorno più lungo”, significò cose diverse in posti diversi.Gli americani celebrarono l’evento come un attacco monumentale, una manovra militare senza precedenti, attraverso la quale si dispiegarono tutte le abilità di coordinamento e di comando del generale Dwight D. Eisenhower. Difatti, il D-Day fu il risultato di due anni di preparativi, in cui emersero numerosi conflitti di strategia che, però, il generale seppe sempre gestire al meglio. Mediando fra Roosevelt, che attendeva il sostegno britannico, Churchill, che aspettava e al contempo guardava con segreto entusiasmo all’avanzata sovietica dopo l’assedio di Stalingrado, e Stalin, per l’appunto, che continuava a chiedere un “secondo fronte”. Mediando altresì fra i generali Marshall e Alanbrooke, perfino tra Patton e Montgomery, anche quando non ne condivideva la strategia. Divenne così centrale, in ogni fase della sua carriera, la capacità di gestire i fallimenti, la stampa, le personalità potenti ma contrarie. Per molti americani, in effetti, quanto stava accadendo allora in Europa era secondario: più importante era difendere il Pacifico dopo l’attacco giapponese. Fu pertanto necessario preparare con grande pazienza anche l’opinione pubblica prima dell’attacco: uno dei motivi dei numerosi rinvii del D-Day.

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