La tragedia di Giovanna e le responsabilità dei social

Il commento del direttore Lorenzo Rinaldi dopo la richiesta di archiviazione dell’inchiesta sui tragici fatti di Sant’Angelo

Non ci sono colpevoli per la morte di Giovanna Pedretti. La procura della Repubblica di Lodi ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta sui tragici fatti dello scorso gennaio a Sant’Angelo Lodigiano. Spetterà ora al Gip pronunciarsi in maniera affermativa o contraria, accettando la richiesta di archiviazione o chiedendo di continuare a indagare. Fin qui la cronaca.

Le decisioni della magistratura vanno sempre rispettate, perché l’attività degli inquirenti è difficile e complessa e può capitare che la Giustizia - che deve badare all’interesse collettivo della verità dei fatti e non può permettersi di ragionare con la “pancia” o con il “cuore” ma deve attenersi unicamente alla legge - non intercetti a pieno il sentimento comune di una particolare comunità in uno specifico momento.

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Certo è umanamente comprensibile anche lo straniamento e il disorientamento di quanti, nella nostra realtà locale, sono ancora profondamente feriti da questa tragedia. E dunque, lasciando fare alla Giustizia il suo corso, è doveroso trarre quantomeno due considerazioni, nella speranza che questo possa servire al sentito ricordo di chi oggi non c’è più, di una persona perbene, benvoluta e apprezzata nella sua cerchia sociale.

La prima considerazione attiene al mondo dei mass media. È sbagliato fare di tutta l’erba un fascio e non si vuole certamente ergersi ad arbitro, ma occorre ammettere che non tutta la categoria dell’informazione ha posto il medesimo grado di attenzione nella valutazione della notizia e nel rispetto della persona.

La seconda considerazione ha a che fare con l’universo dei social media, che sono stati al centro dell’intera vicenda, l’ambiente nel quale tutto si è originato. Mi riferisco in particolar modo all’ondata di fango, con centinaia di commenti pesantemente offensivi, che è piovuta addosso a Giovanna Pedretti in maniera del tutto gratuita, violenta, senza che questa donna avesse gli strumenti per rispondere o una corazza per difendersi.

Siamo disposti ad accettare supinamente tutto questo? O forse, anche questa storia, rappresenta il tassello di un mosaico ben più vasto e preoccupante: la de-responsabilizzazione delle piattaforme social, strumenti potentissimi in grado di influenzare le opinioni e la vita delle persone, nati e sviluppati con l’unica logica del profitto. Ci aiuta, in questa riflessione, il Messaggio del Papa per la 58esima Giornata delle Comunicazioni sociali, pubblicato il 24 gennaio 2024, laddove Francesco si chiede: «Come far sì che le aziende che sviluppano piattaforme digitali si assumano le proprie responsabilità rispetto a ciò che diffondono e da cui traggono profitto, analogamente a quanto avviene per gli editori dei media tradizionali?».

La domanda del Pontefice è una delle grandi questioni aperte e oggi ancora irrisolte. E rappresenta un tema centrale nel lento e doloroso processo di ridefinizione dei canoni della civile convivenza all’interno della nostra nuova società, quella in cui reale e digitale sono chiamati a convivere, se non “pacificamente”, almeno legalmente.

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