La guerra di fazioni dopo l’omicidio di Charlie Kirk

«Abbiamo perso la capacità di distinguere la critica dall’odio, il dissenso dalla delegittimazione, la discussione dal conflitto»

L’aspetto più inquietante dell’uccisione di Charlie Kirk, noto influencer e attivista conservatore degli Usa, non è soltanto la brutalità del gesto, consumato nello Utah davanti a migliaia di persone durante un evento universitario. Ciò che colpisce è anche il modo in cui la discussione pubblica che ne è seguita si è trasformata in un terreno di scontro esasperato, incapace di elaborare il lutto senza precipitare nell’ennesima guerra di fazioni. Che un episodio così drammatico generi emozioni forti è comprensibile. Ma la rapidità con cui il confronto si è ridotto a un’arena di insulti e semplificazioni racconta bene il clima che oggi attraversa le nostre società. Anche in Italia la dinamica è stata la stessa: una rincorsa a estremizzare le posizioni, a ridurre tutto a un sì o a un no, a schierarsi senza esitazioni. Il grigio sparisce, le sfumature si annullano, resta soltanto una contrapposizione binaria e rabbiosa. Questo è forse il sintomo più grave: la crescente difficoltà a custodire uno spazio di dialogo in cui il dissenso non diventi immediatamente ostilità, in cui la complessità non venga compressa in uno slogan, in cui la realtà non debba piegarsi alle logiche da stadio. Più che a un dibattito, assistiamo a un rito identitario: ciascuno deve dichiarare se sta “con” o “contro”, senza possibilità di sostare in mezzo, senza curiosità né disponibilità ad ascoltare.

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