«La bomba che ci ucciderà sarà quella che non sentiremo»

La guerra in Terra Santa uccide anche le menti

Pochi giorni fa, a una trasmissione radiofonica della BBC, un uomo arabo collegato da Gaza (che si trova sotto attacco israeliano) raccontava della sua preoccupazione per il futuro suo e della sua famiglia. In particolare, con voce rotta e angosciata, riferiva della conversazione avuta con la figlia sedicenne circa l’avvenire. La figlia tentava di rincuorare il padre facendogli notare che la bomba che li avrebbe uccisi sarebbe stata quella che loro non avrebbero sentito. In altre parole, il fragore dei missili che continuavano ad esplodere attorno a loro, benché inquietanti, era un segno di vita, per quanto precaria, giacché nessuno è testimone della propria morte. La morte - questo mi pare il cuore del pensiero della giovane - arriva come un evento incalcolabile e inatteso: dove c’è lei, non ci siamo noi e fino a quando ci siamo, noi lei non c’è.Non è un pensiero nuovo nella riflessione filosofica ma è davvero sorprendente e destabilizzante ascoltarlo dalla voce di una sedicenne, oltretutto non come una riflessione teorica, ipotetica, possibile, ma come una strategia concreta di sopravvivenza, come un motivo per continuare a vivere e a lottare. Quella ragazzina palestinese non ha fatto questo pensiero durante l’interrogazione di filosofia in un’aula scolastica, ma la riflessione nasceva da una condizione personale drammatica, emergeva dal senso concreto ed imminente di pericolo che lei ed i suoi cari stavano sperimentando. Non so… sento qualcosa di innaturale e di drammatico in tutto questo: la possibilità che una giovane adolescente debba in qualche modo elaborare il pensiero della propria morte, con una tale serietà, la sento qualcosa di inaccettabile, come adulto e come genitore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA