Tra arte e scienza, il protagonista è Escher

LA MOSTRA Al Mudec di Milano

In un’epoca come la presente contrassegnata da un progresso scientifico inesorabile per come sta cambiando gli stessi paradigmi che hanno governato finora l’equilibrio del mondo, il credo artistico e intellettuale di Escher osservato attraverso curiosità matematiche e scientifiche sembra averne anticipato molti dei tratti. Almeno quelli macroscopici. Questo pare dire la mostra, aperta al Mudec di Milano, M.C. Escher. Tra Arte e Scienza (visitabile fino all’8 febbraio, catalogo 24 Ore Cultura, coordinamento curatoriale Federico Giudiceandrea). Le maiuscole non isolano l’endiadi, ma servono a indirizzare l’osservazione verso uno specifico connubio oggi valido, che però al tempo in cui agiva l’artista, pur avendo vissuto a lungo, era nato nel 1898 ed è morto agli inizi degli anni settanta del secolo scorso, era visto con non poco sospetto. Infatti, Escher era considerato un eccentrico, appartenete a quella famiglia di scrittori e artisti che guardavano all’insolito, al meraviglio. Perché no: all’impossibile. A una realtà immaginata che non poteva ancora dirsi virtuale. Dunque, lontano dalle scoperte del digitale (anche se la rivelazione dell’esistenza di un’intelligenza artificiale risale al 1950 per mano di Alan Turing) e chiamato quasi a essere un corrispettivo, lungo una striscia di poco meno di duecento anni, compagno di Piranesi e Borges per come stravolge la percezione architettonica e urbanistica di case e paesaggi, Escher ha plasmato un modo unico e originale di far arte con la scienza, intrecciando tutto ciò alla sua stessa parabola esistenziale. A far da contrappunto sono i tanti viaggi e soggiorni compiuti tra l’Italia, la Spagna il Portogallo, gli addentellati con l’Islam, lo studio costante di modelli matematici e geometrici che gli consentono di elaborare figure che stravolgono lo spazio chiuso nelle cornici pittoriche e scultoree. Infine, tanto per cogliere alcune differenze con la celebre e ormai lontana mostra Palazzo Reale, era il 2011, questo nuovo allestimento tenta di corroborare l’idea curatoriale, peraltro collettiva, di un Escher che va al di là della riconoscibile produzione maggiore,accaparrata da un kitsch persino non troppo smaccato. (F. Fr.)

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