Jack Vettriano al Museo della Permanente

MILANO L’artista scozzese scomparso quest’anno

Poco o molte cose, a secondo dei punti di vista, si posso conoscere o ignorare di Jack Vettriano. Le uniche certezze si hanno nel visitare la corposa antologia che il Museo della Permanente di Milano gli dedica fino al 25 gennaio prossimo (catalogo Pallavicini, cura Francesca Bogliolo). Si cominci nell’osservare le opere, sono più di un’ottantina, tutte di differente fattura tra olii (meno di una decina) e immagini tirate su carta museale (la maggior parte), e a completare la visita con lo scrutare nello studio dell’artista scozzese, scomparso nel 2025 all’età di settantaquattro anni, grazie al bel ciclo di fotografie di Francesco Guidicini. Viceversa, prima di fissare lo sguardo sull’intera mostra, il consiglio è di ignorare alcune frasi dello stesso artista che puntellano l’allestimento e tra queste quella in cui lamenta la poco o nulla attenzione avuta dalla critica. A differenza del plauso ricevuto dal pubblico, a cui la cornice patinata dei soggetti e delle scene delle sue opere è risultata gradevole per come riesce a suscitare ricordi sia cinematografici sia delle riviste di moda. Ma, oltre c’è qualcosa di più che affratella Vettriano sia alle narrazioni dipinte di Norman Rockwell sia a un qualcosa che scende più nel popolare (non che l’opera di Rockwell non lo sia) come possono essere i fotoromanzi. Che poi le scene ritratte rimandano a epoche lontane dalla contemporaneità e dalla atemporalità postmoderna sono un qualcosa in più. Rispetto a una figurazione che tende meno alla interiorità e molto di più a una malinconia di un tempo non ritrovato. Nemmeno nel tentativo costante e coerentemente estetico della riproduzione seriale. (F.Fr.)

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