
Il dolore del Lodigiano per la scomparsa di Papa Francesco, il Santo Padre si è spento lunedì mattina a 88 anni
Le parole del vescovo di Lodi, monsignor Maurizio Malvestiti: «È stato un esempio di semplicità e di fede»
Lodi
Il dolore dei fedeli e il cordoglio del Lodigiano per l’improvvisa scomparsa del Santo Padre, Papa Francesco che si è spento lunedì mattina all’età di 88 anni. Tante le commoventi testimonianze per ricordare il Pontefice degli ultimi.
La data dei funerali sarà decisa oggi, martedì 22 aprile, dalla Congregazione dei cardinali che si riunisce alle 9. I funerali dovrebbero avvenire tra il quarto e il sesto giorno dalla morte. Il conclave dovrebbe essere previsto tra il 5 e il 10 maggio.
È stato reso dal Vaticano il suo testamento spirituale, redatto da Jorge Mario Bergoglio a Santa Marta il 29 giugno 2022: “Chiedo che la mia tomba sia preparata nel loculo della navata laterale tra la Cappella Paolina (Cappella della Salus Populi Romani) e la Cappella Sforza della Basilica di Santa Maria Maggiore. Il sepolcro deve essere nella terra; semplice, senza particolare decoro e con l’unica iscrizione: Franciscus”.

Di seguito l’intervista a firma del giornalista Federico Gaudenzi al vescovo di Lodi, monsignor Maurizio Malvestiti, che ha ricordato lo straordinario valore di guida e pastore che ha rappresentato Francesco per la diocesi di Lodi e per il mondo:
Forse è per via di quel sacerdote lodigiano che lo battezzò, tanti anni fa in Argentina, oppure per la telefonata ricevuta nei momenti più difficili della pandemia, o ancora per l’incontro indimenticabile dell’agosto 2022, con 400 lodigiani accolti in sala Clementina. O forse, è semplicemente per quella simpatia innata, con cui riusciva a spalancare i cuori gettando le basi per relazioni sincere, anche quando si trattava di una semplice stretta di mano, di un saluto a un collaboratore, di un incontro fugace. Sono molti i motivi che alimentano la vicinanza filiale tra la comunità laudense e Papa Francesco, che quest’ultimo ha ricordato in più occasioni con affetto, e che ora il vescovo Maurizio rievoca una per una, con il dolore di chi ha perso una guida appassionata, ma è consapevole che il Santo Padre ha trovato la sua casa nel cielo al termine di un’esistenza tutta spesa per Cristo, per la Chiesa e per il prossimo.
Eccellenza, qual è il Suo primo ricordo di Papa Francesco?
«Ero presente all’annuncio dell’elezione di Papa Francesco, il 13 marzo 2013. Ricordo bene il suo primo messaggio, quell’insolito “buonasera”, il ricordo di Benedetto XVI e la richiesta di preghiera prima che, come vescovo di Roma, benedicesse la città e il mondo. Tutti ricordiamo quel “venuto dalla fine del mondo” che i cardinali elettori avevano scelto per guidare la Chiesa. La sera stessa, nel cortile di San Damaso, io e un gruppo di sacerdoti volevamo vedere il Papa, e lo abbiamo intravisto mentre, invece di prendere l’auto a lui riservata, scelse il pullmino dei cardinali. Un gesto di umiltà che ci fece subito comprendere il suo stile: uno stile improntato alla semplicità e all’informalità che ha confermato in ogni momento del suo pontificato. Ero presente alla sua prima Messa da Pontefice, quando scese coi patriarchi orientali al sepolcro di san Pietro, e poi in piazza sostenne l’importanza di custodire la Chiesa e la famiglia umana per custodire noi stessi in obbedienza al Signore».
Ci sono stati degli incontri personali?
«All’epoca ero sacerdote ed ero impegnato nella Congregazione per le Chiese orientali, quindi ci furono diversi incontri legati a quell’incarico. Un aneddoto: quando accolse il nuovo patriarca copto cattolico di Alessandria, Ibrahim, mi chiese alcune indicazioni sul rito che si doveva compiere prima della Messa alle ore 7 in santa Marta, mi chiese se avesse dovuto indossare la mitra. Io gli dissi di sì, e lo invitai ad indossare la più bella tra le due a disposizione, perché il patriarca si sarebbe presentato addirittura con una corona. Lui, ovviamente, scelse la mitra più semplice».
La semplicità è stata la cifra distintiva della sua personalità, che l’ha reso vicino alle persone, non solo ai cattolici. È così?
«Sì, sicuramente. Pensiamo alle sue telefonate ai vari dicasteri, ad esempio, ma anche alle persone comuni. Era il segno della sua volontà di essere vicino alle persone nella vita ordinaria, intessendo relazioni di prossimità quotidiana. Racconto volentieri un altro aneddoto, risalente a quando, poco prima della mia nomina, mi incontrò con un gruppo di giovani bergamaschi in San Pietro. Mi chiese quando fosse pubblicata la nomina a vescovo di Lodi e mi disse: “Va’ volentieri a Lodi, perché io sono stato battezzato da un prete lodigiano”. Rievocò questa vicinanza alla diocesi di Lodi anche durante la visita alle Chiese lombarde, nel 2017: mi salutò in modo molto caloroso sul sagrato del duomo di Milano. Ma in serata si recò dalla moltitudine di persone, a San Siro, e tra lo stupore generale ricordò tra i suoi maestri nella fede proprio il sacerdote lodigiano che lo battezzò».
Due anni dopo, nel 2020, ricordiamo tutti la sua preghiera solitaria in piazza San Pietro. Anche in quei giorni tragici, ebbe parole di sincera vicinanza per la comunità lodigiana...
«Ricordo come fosse ieri. Era il 6 marzo 2020, alle 11.08 del mattino. Mi telefonò e, con affetto paterno, affermò la sua vicinanza alla nostra comunità, ci assicurò la sua benedizione e il suo incoraggiamento. Pochi mesi dopo, invitò a Roma le Chiese dei territori più colpiti dalla pandemia, e ci chiamò “artigiani della tenerezza e della solidarietà”».
Gli ultimi incontri, invece, sono stati in tempi più recenti: prima il pellegrinaggio diocesano a Roma nell’agosto 2022, e poi la visita ad limina, il primo febbraio nel 2024. Cosa hanno significato quelle due occasioni di incontro?
«Nel 2022 eravamo in 400 lodigiani alla sala Clementina: ci parlò a cuore aperto, ci parlò anche di Madre Cabrini, e ricevette da noi il Libro sinodale. Poi, incredibilmente, volle salutare tutti i presenti, uno ad uno. Parlò nuovamente della sua parentela battesimale con Lodi, a motivo di don Pozzoli di Senna che lo battezzo’: un legame che in questi giorni pasquali risalta come vincolo della nostra Chiesa con il successore di Pietro con la celebrazione nella Pasqua giubilare. Poi, nel 2024, accolse i vescovi lombardi nella visita ad limina. Ascoltò tutti i nostri interventi per due ore: io parlai dell’importanza dell’educazione delle nuove generazioni alla pace, e lui diede istintiva approvazione a questa cura pastorale».
Si può dire che l’invito pace sia stata uno degli elementi ricorrenti della sua attività pastorale come successore di Pietro?
«L’impegno di Papa Francesco per la pace è sotto gli occhi di tutti, soprattutto negli ultimi anni con i continui appelli per l’Ucraina e la Terra santa. Il Pontefice non è un politico, ma è nella sua missione la difesa della pace, e in questi anni la sua voce è stata tra le più forti, instancabili ed autorevoli in questo senso. Ha parlato con realismo, ma anche con l’idealità che viene dal Vangelo, perché sentiva la causa della pace come una ferita della famiglia umana che la Chiesa è chiamata a curare».
La causa della pace è una delle declinazioni della sua attenzione alla costruzione di relazioni di fraternità, come ha affermato nelle sue encicliche?
«Sicuramente ha investito tanto sull’importanza della fraternità, che si declina nell’impegno per la pace, ma anche per la costruzione dell’unità attraverso l’attenzione ecumenica e al dialogo rispettoso tra le religioni, su cui ha compiuto passi importantissimi, come la firma del documento sulla fraternità umana ad Abu Dhabi. Una pace anche col Creato da custodire come bene comune tramite l’ecologia integrale dell’enciclica Laudato si’. Il Papa ha scritto encicliche memorabili, ma soprattutto è stato in grado di dare corpo a queste parole mettendo sempre al centro le persone che vivevano determinate problematiche».
In questo senso, anche la strada della sinodalità è significativa?
«Sicuramente la sinodalità è il tratto ecclesiale distintivo del suo pontificato, ma sempre a partire dalla costruzione di relazioni. La sinodalità sta dando frutti di corresponsabilità importanti, e ci fa guardare con speranza al futuro».
Parlando di speranza, non si possono non citare i due Giubilei: quello della Misericordia, nel 2015, e quello in corso, dedicato alla Speranza.
«Nella sua ultima uscita pubblica ha parlato proprio della Speranza che non delude, mettendo il sigillo su un cammino lungo e importante per la storia della Chiesa. È ancora presto per dire cosa è stato per tutti noi, ma spero di poterlo confermare nelle celebrazioni di preghiera e di commiato che svolgeremo, a livello diocesano, nei prossimi giorni».
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