CASALE Rispetto, verità, legalità: tre valori per la vita

L’incontro degli studenti con Gianpietro Ghidini, che ha perso un figlio e ora cerca di aiutare gli altri

Per dieci anni papà Gianpietro non ha più indossato un orologio. Dieci anni. Il 24 novembre 2013, al ritrovamento del figlio 16enne Emanuele morto annegato nelle acque del Chiese a Gavardo, vicino a Salò, dove il ragazzo viveva con la famiglia e quella notte maledetta si era gettato nel fiume sotto l’effetto di una pasticca di Lsd, le lancette segnavano le 13. A quell’ora padre e figlio avrebbero dovuto sedere insieme a pranzo e «parlare». Troppo tardi. «Abbiate il coraggio di chiedere aiuto, la paura è quella che vi salva» ha detto ieri Gianpietro Ghidini dell’associazione “Ema PesciolinoRosso” agli studenti del Cesaris e delle scuole medie di Casalpusterlengo riuniti nell’aula magna dell’istituto di viale Cadorna per l’incontro “Lasciami volare”. Introdotto dalla preside Francesca Scotti e dal sindaco Elia Delmiglio, Ghidini è salito sul palco per guardare dritto in faccia i ragazzi e le ragazze in platea, e ha iniziato a raccontare. «Vorrei darvi un giubbotto antiproiettile per affrontare il male che incontriamo nella vita – ha detto -. Questo giubbotto consiste in tre valori. Il primo è il rispetto del proprio corpo, di te stesso e degli altri, perché la vita è un dono e va rispettata. Il secondo è la verità, intesa come sincerità con le persone che ci danno fiducia, perché chi vive nella menzogna prima o poi la paga. E il terzo è la legalità. Se seguirete questi tre principi di cavolate non ne farete, e anche se vi sembrerà di andare più piano di chi fa il furbo, il furbo prima o poi inciampa, perché lo beccano o perché si ammala dentro, per cui quando vi troverete davanti a un bivio, domandatevi se la vostra scelta rispetta questi tre valori e avrete già la risposta». Lui, Gianpietro Ghidini, in quei valori ci è nato e cresciuto. Di famiglia modesta, l’estate da ragazzo lavorava per mantenersi all’università. Poi arrivano le nozze, tre figli, e via via il «successo economico». I «soldi». E con essi l’ombra della disgrazia che sarebbe di lì a poco avvenuta. «Più cercavo di avere e più mi allontanavo da mia moglie e dai miei figli – ha ricordato ieri il genitore -. Tornavo la sera e passavo in autogrill a comprare dei peluche che regalavo ai miei figli, ma non gli chiedevo mai “come stai?”. Poi per un anno me ne sono andato da casa». Nella lontananza Ghidini capisce che ha sbagliato tutto e torna. Intanto “Ema” ha iniziato a frequentare brutte compagnie. E il 23 novembre 2013, vigilia della tragedia, mentre sono insieme a tavola, il padre legge nello sguardo del figlio che c’è qualcosa che non va. Glielo domanda. Vuole parlarne, ma rimanda. «Ho guardato l’orologio, gli ho detto che avevo un appuntamento di lavoro e ne avremmo parlato il giorno dopo». Troppo tardi.

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