Sessant’anni fa la morte di Enrico Mattei

Senza il suo coraggio San Donato non esisterebbe

Al tredicesimo piano del Primo palazzo uffici Enrico Mattei era di casa. Lì – o in alternativa al cosiddetto “Gigantino” (abbattuto nel ’96), dove abitava la sorella Maria – risiedeva quando veniva a San Donato e lì incontrava industriali, politici e amministratori, a partire dall’allora sindaco socialista Luigi Mannucci, con cui visse rapporti burrascosi prima di trovare una via di dialogo per il bene della città. Fu quest’ultimo, infatti, nominato nel 1960, a bloccare il Piano di fabbricazione steso dall’Eni e che il primo cittadino precedente, Mansueto Tolasi, aveva fatto proprio senza troppo soppesarne le conseguenze (di fatto stava trasformando vorticosamente un borgo agricolo da 2500 anime in un grande centro del terziario con tempi inadatti a garantire i servizi necessari). E fu sempre lui a imporre per ordinanza che i cancelli di Metanopoli – tuttora esistenti all’inizio di viale De Gasperi – restassero sempre aperti, opponendosi a una visione che voleva San Donato spaccata in due fra il villaggio Eni (blindato di notte) e il resto. Dopo i primi “no”, però, le cose andarono meglio e l’Ingegnere, che aveva fin lì disposto come voleva di quel territorio strategico alle porte di Milano, avviando la costruzione del “suo” villaggio operaio con i soldi Gescal, capì che avrebbe dovuto scendere a patti con il battagliero ex inviato dell’Avanti spedito dalla federazione ad amministrare San Donato, cogliendone per tempo la valenza strategica e l’importanza politica.

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