Uggetti: «È a rischio il sistema territoriale»

Il sindaco di Lodi: «Queste banche restino davvero delle “public company”, con un azionariato diffuso, non concentrato in poche mani». Quale battaglia

Il Consiglio dei ministri il 20 gennaio scorso ha approvato il decreto di riforma delle banche popolari, limitandola a 10 grandi banche. Per queste Popolari – tra cui c’è il Banco Popolare - viene abolito il voto capitario (secondo il principio «una testa, un voto», al di là delle quantità di azioni possedute) e il limite di capitale dell’1% per il possesso delle azioni. Gli istituti coinvolti avranno ora 18 mesi di tempo per cambiare i loro statuti. Sul «Cittadino» in questi giorni si è aperto un dibattito sul futuro del credito nel Lodigiano, in particolare sulla Banca Popolare di Lodi. Gli interventi finora pubblicati sono stati quelli di Ferruccio Pallavera, Pietro Foroni, Vittorio Codeluppi. Ospitiamo oggi Simone Uggetti sindaco di Lodi.

La riforma presentata dal Governo sulle banche popolari mette a rischio il sistema territoriale. La banca è degli azionisti, ma è chiaro che se le regole di governance e di confronto in assemblea si spostano dalla parità tra tutti i soci, indipendentemente dalle quote di possesso azionario, al peso specifico delle partecipazioni, lo scenario cambia radicalmente e a prevalere sono le dinamiche di mercato al posto della logica di cooperazione e di rappresentanza delle comunità locali che abbiamo conosciuto sino ad ora. Modernizzare ha senso, stravolgere no. Ci dovranno essere tempi e modi opportuni per sviluppare la discussione su un tema che ha riflessi importanti sul sistema economico, senza trascurare la circostanza che le banche popolari nel nostro Paese hanno svolto e svolgono un ruolo di grande significato.

Non posso nascondermi una preoccupazione per il futuro occupazionale, oltre indubbiamente per le prospettive per l’imprenditoria locale e per le famiglie. A prevalere su tutto, ci sono le esigenze di comunità, come la nostra, che rischia di perdere il rapporto stretto e diretto con istituti che sono parte dell’identità locale e che incidono profondamente sul quadro sociale ed economico del territorio.

Penso che il nostro dovere, di amministratori locali e complessivamente di sistema territoriale, sia quello di concentrarci sugli aspetti che ci riguardano direttamente: dobbiamo, tutti insieme, intervenire in questo processo, per fare in modo che il Lodigiano continui ad avere voce nelle scelte che il Banco Popolare farà, per garantire vicinanza alle istituzioni, profonda attenzione alle famiglie ed alle imprese, valorizzazione delle competenze professionali dei tanti lodigiani che in banca lavorano.

L’obiettivo è quello di portare modifiche consistenti alla riforma, intendo proporre agli interlocutori istituzionali del territorio la creazione di un comitato che promuova iniziative coordinate, perché vengano introdotti elementi di equilibrio e salvaguardia dei valori mutualistici e cooperativi, della rappresentanza capitaria e quindi del presidio delle relazioni territoriali. Auspico nel contempo che anche gli altri territori interessati da questa riforma prendano delle iniziative analoghe.

Vi è poi la consistente preoccupazione per la Fondazione Banca Popolare di Lodi: giusto questa mattina (ieri, ndr), sono stati presentati i risultati dell’attività del Fondo Anticrisi, l’iniziativa che consente a chi ha perso il posto di lavoro (e purtroppo non sono pochi) di contare su un sostegno economico, almeno provvisorio: è solo una delle tante attività a favore del territorio che vede in campo, insieme alle istituzioni locali, la Fondazione Banca Popolare di Lodi. Ed è solo uno dei numerosi esempi che si potrebbero citare per affermare l’importanza di questa realtà, il cui ruolo non si esaurisce certo nella pur significativa opera di erogazione di risorse a favore di iniziative sociali e culturali.

Noi tutti conosciamo bene il valore di una banca che è radicata nel nostro contesto ben oltre il significato di una presenza commerciale e di una istituzione come la Fondazione che svolge anche la funzione di partner fondamentale di progetti strategici (Università e Parco Tecnologico in primis), condivisi grazie al confronto costante e costruttivo.

Non credo ad una alternativa radicale tra accettare la riforma così come è stata presentata oppure affossarla. Credo invece in correzioni e miglioramenti che sono nell’interesse di tutti, non solo dei territori, perché se può essere condivisibile l’intento di dare a queste grandi banche una governance più attuale ed efficace e di gratificare gli azionisti con una più veritiera valorizzazione del loro investimento (che ora è pesantemente sottostimata), non è meno strategico l’obiettivo di evitare che le logiche di mercato sottraggano il controllo di queste importanti realtà non solo ai territori, ma complessivamente al Paese. Se quello verso il quale si vuole andare è un modello aperto, si deve fare in modo che queste banche restino davvero delle “public company”, con una azionariato diffuso, non concentrato in poche mani.

Una battaglia che non deve unirci contro un “nemico”, ma a favore di un bene che è nell’interesse di tutti preservare.

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