Trova una lapide funeraria nel prato

Funghi, pochi; al loro posto, la lapide di una tomba, sbucata dal nulla ai bordi di un prato nelle campagne fra Lodi e Massalengo. È la storia capitata a E.V., un cercatore di funghi che risiede a cascina Favalla, un complesso residenziale situato oltre la tangenziale, a due passi dal luogo del ritrovamento.

Martedì mattina, come ogni giorno, E.V. è uscito di casa in cerca di pioppini. Grande è stata la sorpresa quando l’occhio gli è caduto su una tavola di marmo semisepolta nel terreno, con numeri e lettere inchiodati sopra: «Altro che funghi - dice - quella era una lapide funeraria». Come e perché sia finita alla Favalla è per ora un mistero. Non è la prima volta che a Lodi vengono rinvenute lapidi al di fuori dei cimiteri, l’ultima era comparsa qualche anno fa nel parcheggio del Belgiardino. In quel caso, però, la spiegazione era chiara: lo sanno anche i morti che il Belgiardino, una volta, era una discarica, ed è tristemente normale imbattersi in macerie che affiorano dal terreno.

Ma a cascina Favalla non c’è mai stato nessun cimitero, il più vicino è quello di San Bernardo, mezzo chilometro in linea d’aria: anche ammettendo che provenga da lì, non si capisce come la lapide sia atterrata nel prato in cui E.V. l’ha trovata. «Forse - azzarda lui - c’entrano i lavori alla rete del gas che nei giorni scorsi hanno interessato proprio questa zona. Ho visto delle ruspe in azione: forse per riempire le trincee è stata usata terra di riporto e la lapide ci è finita dentro».

Se così fosse, di certo il trasloco non le ha nuociuto poi tanto: la lastra di marmo nero, spessa cinque dita, è praticamente intatta, il nome del defunto ancora intuibile. Quasi certamente si tratta di una donna, data la presenza di alcune lettere in caratteri più piccoli, probabilmente il cognome da sposata. Chi scrive propende per Maria Itala Ravera, cognome assai diffuso in terra lodigiana, ma le interpretazioni possono essere molte. La data di nascita non è indicata, incerta quella della morte: le cifre rimaste dicono solo che Maria - se così si chiamava - se n’è andata negli anni Sessanta, il secolo e l’anno sono andati perduti.

Il giorno, invece, è ancora integro: il 31 di ottobre. «Ma è giovedì prossimo - fa notare E.V. - Devo ricordarmi di tornare qui a portarle un fiore».

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