Terapia del dolore, Lodi “declassato”

Stop ai ricoveri per i trattamenti analgesici

Alcune tecniche antalgiche a Lodi non potranno più essere utilizzate. E non sarà più possibile ricoverare i pazienti per calmare il loro dolore. A deciderlo è stata, alla vigilia delle elezioni, la regione Lombardia. La nuova norma, per la quale però mancano ancora i decreti attuativi, suddivide gli ospedali in centri di primo e secondo livello. Lodi rientrerebbe tra i primi e così uno dei fiori all’occhiello dell’azienda ospedaliera, che è il servizio di terapia antalgica, rischierebbe di essere penalizzato per effetto di un dispositivo di legge. «A dicembre - spiega il responsabile della terapia antalgica Domenico Furiosi - la regione ha approvato una norma istituendo la rete della terapia senza dolore. Verrà avviato una sorta di “comitato” che lavorerà con i soggetti che si occupano di dolore, a partire dal medico di famiglia, per definire dei percorsi. Alcune attività, come l’impianto di pompe a livello spinale o di elettrostimolatori sulla colonna, non saranno più possibili qua, dovranno essere effettuate solo nei centri più grossi. Non avevamo molti casi trattati così, circa 10 all’anno. Tutto dipenderà però da quali risposte verranno date in questi centri di secondo livello. Nella nostra, essendo una struttura piccola, le risposte ai bisogni vengono date celermente; in un ospedale più grosso non so come potrebbero funzionare le cose». «Il progetto “Ospedale senza dolore” nel Lodigiano è nato ai tempi del ministro Umberto Veronesi e del direttore generale Paolo Messina, all’inizio del 2000 - ricorda la presidente dell’Alao Carla Allegri Bertani, che era esponente del comitato -. Si trattava di un progetto importante. I risultati evidenziati in letteratura dicono che se il dolore viene alleviato la prospettiva di guarigione è migliore e più veloce. Se un malato è sofferente, fa fatica a riprendersi, non riesce ad alzarsi dal letto e ci mette molto più tempo a recuperare». Attualmente, grazie a quel progetto, spiega Furiosi, sono una decina al giorno i pazienti, soprattutto quelli che hanno subito un intervento chirurgico importante, che riescono da soli a regolare la somministrazione dell’analgesico. «Il paziente che viene sottoposto a questa metodica deve essere selezionato - aggiunge il medico -, deve essere, evidentemente, un tipo di paziente collaborante. La farmacia allestisce i farmaci in tempo reale. La pompa viene inviata direttamente in sala operatoria, nell’area risveglio o in camera subito dopo l’intervento. È la stessa metodica della sala parto. Nella maggior parte dei casi è sufficiente la terapia con la flebo. Quello che manca ancora nei nostri ospedali è la sensibilità al dolore, la crescita culturale. Tutti gli sforzi fatti negli anni in tema di formazione al personale sono stati vanificati dai continui cambiamenti di operatori provenienti per lo più dalle cooperative. Adesso che siamo, invece, in un periodo di stabilità, con il personale assunto, l’investimento sulla formazione potrà dare dei buoni frutti». Il dolore va rilevato in cartella come la febbre e la pressione ed essere trattato al pari degli altri sintomi.

Cristina Vercellone

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