Senza la sua Popolare il Lodigiano sarà più povero
Con l’abolizione del voto capitario la rappresentatività
del nostro territorio all’interno del consiglio d’amministrazione si ridurrà certamente al lumicino
L’abbiamo scritto nel luglio scorso, in prima pagina. Lamentavamo che Lodi aveva perso la centrale operativa del 118. Che i vertici lodigiani dell’Aler erano stati spazzati via. Che gli alti papaveri della regione Lombardia avevano in animo – e stanno ormai arrivando a conclusione del loro progetto – di cancellare l’Asl e l’Azienda Ospedaliera di Lodi per accorparle non si sa ancora bene a quali territori. Che la Camera di commercio avrà vita breve, perché ignoriamo come farà a sopravvivere con la mannaia dei tagli ai finanziamenti piovuti dall’alto. La sorte della Provincia di Lodi ce l’ha illustrata sul Cittadino di ieri il suo presidente, che non è in grado di far fronte alle spese ordinarie, e c’è il rischio bancarotta. E dopo la rottamazione delle Province (se resteranno in piedi, Lodi la affogheranno dentro un calderone dove Cremona e Mantova faranno la parte del leone) qualche buontempone romano assicura che sarà la volta delle Prefetture e delle Questure. Via tutto. La Regione Lombardia da parte sua sbraita contro il governo ma favorisce e promuove questo accentramento.
Proprio loro, le regioni, che in questi anni si sono trasformate in enti mastodontici, vere macchine mangiasoldi dove alberga la burocrazia borbonica più retriva. La Lombardia che - è giusto riconoscerlo - fornisce a noi cittadini servizi eccellenti e di prima qualità, è comunque diventata peggio di un ministero, inavvicinabile a qualsiasi privato cittadino. Provate a fare la fila a uno dei suoi sportelli....
Queste ed altre cose scrivevamo sul Cittadino del mese di luglio.
E qualcuno, commentando quell’articolo, ci aveva risposto che a tenere in piedi l’identità della nostra terra e il timbro della “lodigianità” sarebbero rimaste in piedi poche istituzioni: la diocesi, le banche del territorio con le loro Fondazioni e… “Il Cittadino”.
Da martedì non è più così.
Il Consiglio dei ministri il 20 gennaio scorso ha approvato il decreto di riforma delle banche popolari, limitandola ai soli istituti che hanno oltre 8 miliardi di euro di attivo, in questo momento cioè a 10 grandi banche. Per queste Popolari – tra cui c’è il Banco Popolare - viene abolito il voto capitario (secondo il principio «una testa, un voto», al di là delle quantità di azioni possedute) e il limite di capitale dell’1% per il possesso delle azioni. Gli istituti coinvolti avranno ora 18 mesi di tempo per cambiare i loro statuti e adeguarsi alle nuove norme trasformandosi in normali società per azioni. La riforma aprirà un complesso risiko bancario, con acquisizioni e fusioni.
LA POPOLARE CANCELLATA?
L’obiettivo del governo, ribadito dal premier Matteo Renzi, è quello di rafforzare il sistema creditizio «diminuendo i banchieri e aumentando il credito alle imprese». Il giudizio di Renzi non è stato da tutti condiviso all’interno del mondo delle Popolari e in un’ampia fetta della rappresentanza politica. Il rischio infatti è quello di snaturare questa particolare porzione del sistema creditizio, ad azionariato diffuso, molto radicato sul territorio, portatore di valori cooperativi.
Tutto questo significa che, con la radicale trasformazione a cui andrà incontro il Banco Popolare, la rappresentatività del Lodigiano all’interno del suo consiglio d’amministrazione si ridurrà al lumicino. Potrebbe anche sparire per sempre.
Non è nostro compito fornire una pagella ai lodigiani che fino ad ora hanno fatto parte del Cda del Banco veronese, ma è indubbio che, grazie alla Fondazione della Banca Popolare di Lodi, il Lodigiano in tutti questi anni ha potuto godere di vantaggi e sostegni che altrimenti non avrebbe mai avuto. Pensiamo al grande ruolo svolto dalla Fondazione a favore di tutti coloro che sono stati colpiti dalla crisi economica, al sostegno fornito al Fondo di solidarietà della diocesi, al recente progetto della piattaforma del cibo.
E ora? Quale peso avrà il Lodigiano nel futuro Banco Popolare? Cosa potranno contare le attuali quattro divisioni territoriali (Verona-Novara-Bergamo-Lodi) in cui è ripartita l’attuale banca? Che ne sarà della grande sede progettata da Renzo Piano? E dei dipendenti lodigiani della banca?
COL SENNO DI POI…
Probabilmente se la Banca Popolare di Lodi fosse rimasta storicamente rinchiusa nel proprio ambito, oggi sarebbe una piccola banca di provincia, una di quelle che il decreto del governo non ha sfiorato.
Le idee di grandezza – e di qualcos’altro – di un vituperato consiglio d’amministrazione mandato a casa dalla magistratura e dalla Banca d’Italia portarono lo storico istituto fondato da Tiziano Zalli a perdere la testa. E infine a perdere la propria autonomia, per farsi inglobare dalla banca veronese. Se a Fiorani e ai suoi uomini debbono essere addebitate colpe gravissime per aver distrutto i valori e le virtù di quella che fu la prima Banca Popolare d’Italia, i soci lodigiani hanno pure gravi responsabilità perché non sono stati in grado di tenersi stretta la propria banca. In due momenti ben precisi – alla caduta di Fiorani e alla proposta di incorporare la Popolare di Lodi nel gruppo di Verona-Novara – non hanno saputo con coraggio imboccare la strada dell’autonomia.
Ma ora è inutile piangere sul latte versato.
Nutriamo forti timori che, con il nuovo assetto imposto alle Banche Popolari dalla recentissima decisione del governo, non solo il Lodigiano non conterà più nulla all’interno del futuro consiglio d’amministrazione del Banco, ma non sappiamo come e in quale misura potrà rimanere in vita la Fondazione di Lodi.
Da tutta questa vicenda il Lodigiano uscirà sicuramente molto più povero di quanto già è.
In una crisi economica devastante, che registra la presenza di 22.000 uomini e donne del nostro territorio che non trovano lavoro e nell’inarrestabile cancellazione di tutte le istituzioni e le stanze dei bottoni presenti nel Lodigiano, non c’è da stare allegri.
L’auspicio è che le storiche Casse rurali possano continuare – fino a quando qualcuno dall’alto non deciderà diversamente – a fornire qualche boccata d’ossigeno a una terra che sta di giorno in giorno asfissiando.
Il futuro dell’Italia è riposto nelle sue radici, nelle piccole patrie, nell’identità che vive sotto i gonfaloni dei municipi e ai piedi dei campanili. Spazzare via ciò che rappresenta un territorio significa non fare il bene dell’Italia. Stupisce il fatto che chi è stato sindaco di piccole o grandi città – e che oggi a vario titolo siede dove si decidono le sorti del nostro Paese - non colga tale aspetto. Ma questo è un altro discorso, che ci porterebbe lontano.
Di questo passo il Lodigiano si ridurrà a una nullità, a una grande decadente cascina, scriveva “Il Cittadino” del 12 luglio scorso. Ci stiamo andando vicino.
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