Salvata a Lodi da una malattia rara

Le dottoresse della struttura di ematologia hanno diagnosticato subito l’emoglobinuria della 69enne

di Cervignano costretta a vivere facendo trasfusioni

Costretta a vivere facendo trasfusioni. Luisa Ambrosi, 69 anni, di Cervignano, ha nel sangue una proteina cattiva che le mangia i globuli rossi. Si tratta di una malattia rara, l’emoglobinuria parossistica notturna, Epn per i medici italiani.

All’inizio, i dottori che l’avevano visitata, pensavano avesse un’infezione alle vie urinarie, ma la dottoressa Paola Cerani e la responsabile della struttura semplice di ematologia dell’ospedale Maggiore Pasqualina De Fazio le hanno salvato la vita.

Tante erano le ipotesi in campo per giustificare la costante anemia della donna di Cervignano, ma quando è arrivata nel reparto di medicina di Lodi, le specialiste hanno capito subito di cosa si trattava.

Negli ultimi 20 anni, come testimonia anche l’ex primario Giulio Nalli, nel Lodigiano non sono stati diagnosticati altri casi come questo.

«Tutto è incominciato a dicembre - racconta la donna -. Dovevo fare un intervento per mettere la protesi alla spalla, ma mi sentivo sempre stanca. Al mattino, stavo bene e al pomeriggio non ce la facevo a reggermi. In day hospital hanno scoperto la mia anemia. Era il 31 dicembre, sono stata ricoverata in ematologia e sottoposta ad una serie di esami. Non digerivo più niente. Prendevo una pastiglia e mi restava in gola. Avevo dei dolori incredibili dall’avambraccio allo stomaco. Pensavo mi venisse un infarto da un momento all’altro. Appena camminavo un pochino rimanevo subito senza fiato. Le dottoresse di Lodi, De Fazio e Cerani, sono state bravissime. In 2 o 3 giorni hanno riconosciuto subito questa malattia. Al momento della diagnosi sono stata sottoposta a 4 sacche di sangue, una in fila all’altra. Oggi, per esempio è un giorno nero, per me. Mi sento completamente a terra. Mercoledì dovrò tornare in ospedale per l’ennesima trasfusione. A volte l’effetto della flebo dura anche un mese, a volte invece, dopo 8 giorni devo farne subito un’altra. Per me, che ero abituata a muovermi in continuazione e a camminare, anche in montagna, è dura. I medici mi dicono che devo fare la vita di prima, ma è inutile, non è più la stessa vita per me».

«L’incidenza dell’Epn - racconta Cerani - è di un ammalato ogni 500mila abitanti. Non esiste un registro dei pazienti in Italia, ma sono attesi tra i 400 e i 600 casi in tutto lo Stivale. Si tratta di una malattia delle cellule staminali del midollo. Non è una patologia tumorale e non si trasmette geneticamente. Ci troviamo di fronte, invece, ad un’anemia emolitica, cioè la distruzione dei globuli rossi da parte delle proteine del complemento presenti nel sangue. Queste proteine, normalmente, non riescono ad essere aggressive perché i nostri globuli rossi sono protetti da una speciale proteina di superficie. Nella malattia queste proteine vengono alterate e non sono più protette dalle altre. Così, in una quantità più o meno rilevante, i globuli rossi vengono distrutti. Da queste cause ha origine l’anemia. Si hanno poi anche altre manifestazioni che interessano i globuli bianchi e le piastrine e che possono comportare una trombosi. Negli ultimi vent’anni si è scoperto il gene Piga che subisce la mutazione. Dal gene vengono prodotte delle proteine, anch’esse alterate. L’anemia della donna viene curata con il supporto delle trasfusioni, ma le viene somministrato anche un farmaco per prevenire le trombosi».

Quello della donna di Cervignano, nella rarità della malattia, è un caso ancora più raro.

«In genere, infatti - racconta la protagonista- la malattia colpisce tra i 20 e i 40anni. Io ne ho già 69 eppure mi sono ammalata lo stesso».

La causa della mutazione, spiega Cerani, «non è stata ancora individuata. Non si parla nemmeno di esposizione a sostanze particolari che possano scatenare la patologia. Gli studi sono ancora in corso». Per il medico Cerani, che prima di arrivare a Lodi lavorava in un ospedale più grande della Lombardia, si tratta del suo terzo caso, a partire dal ‘94.

«Quando ci troviamo di fronte a un paziente con un’anemia emolitica - dice - si prendono in considerazione tutte le cause. Negli ultimi 6 mesi c’era un sospetto che la donna potesse avere questa malattia, a causa delle urine che alla mattina erano molto scure. La colorazione era stata addebitata a un’infezione delle vie urinarie. Nel Lodigiano non erano mai state fatte diagnosi di Epn», ma quando la donna è arrivata in ospedale ed è stata ricoverata in medicina non ci sono stati dubbi. L’anemia e la colorazione delle urine, associate insieme, hanno acceso un campanello d’allarme.

La paziente è consapevole della professionalità degli operatori sanitari di Lodi e si congratula con la dottoressa Cerani. Quest’ultima, però, si schermisce.

«Qua - dice - il lavoro è di equipe. Sforzi e soddisfazioni vanno condivisi con gli altri».

Cristina Vercellone

© RIPRODUZIONE RISERVATA