Russo: «Si continua a lavorare»

«Si continua a lavorare e l’attenzione resta alta»: il procuratore di Lodi Vincenzo Russo assicura che il fascicolo d’indagine sulla morte dell’appuntato scelto Giovanni Sali è ancora aperto, e in evidenza. «Siamo impegnati in modo molto intenso e restiamo molto vicini ai familiari».

La richiesta di soccorso al “118” per il carabiniere di quartiere ferito a terra in via del Tempio era arrivata venti minuti prima delle 18 del 3 novembre 2012, un sabato. Era vivo, ma non è riuscito ad articolare parole di senso compiuto: aveva il torace trapassato da due proiettili, compatibili con le munizioni della sua pistola d’ordinanza - trovata fuori dalla fondina ma ancora legata con il cordino d’acciaio - e un terzo proiettile si era invece conficcato in un box a 50 metri di distanza. Tutto quanto hanno scoperto dopo gli investigatori dei carabinieri, arrivati da Milano ma anche dal Ris di Parma, dal Racis di Roma e dai Ros, resta coperto dal segreto istruttorio. Risultati investigativi e spunti che sono stati approfonditi, comunque, non erano mancati, al punto che secondo qualche inquirente «ci sarebbe qualcosa da dire». Ma in realtà le uniche indiscrezioni di questi 12 mesi sono state il “reset” delle indagini di diverse settimane fa, voluto dal procuratore per analizzare nuovamente tutto facendo tabula rasa delle precedenti ipotesi, e indicazioni in base alle quali la perizia balistica non potrebbe escludere al 100 per cento l’atto autolesionistico. La pistola avrebbe comunque sparato non a bruciapelo, ma da una limitata distanza.

«Che mio papà si sia ucciso è impossibile e assurdo - dice sicura la figlia Erica -. L’avevo visto poche ore prima di quel suo ultimo turno di servizio, era serenissimo. E non mi è mai sembrato preoccupato prima di andare al lavoro».

I carabinieri, nelle settimane successive, avevano anche lavorato sull’identificazione di frequentatori di locali pubblici, non escludendo dalle indagini il campo dei pregiudicati. «Mio papà era grande e grosso, non onnipotente - prosegue la figlia -. Quello che mi colpisce, oggi, è vedere in giro per Lodi i carabinieri di quartiere in coppia, così come sono sempre stati in due i poliziotti di quartiere. Mio papà era da solo». Ma in famiglia si pensa che a colpire possa essere stata la criminalità? «Non lo so, e comunque non rispondo», conclude la figlia. C’è poi stato un altro grave fatto che aveva scosso il Lodigiano, poco più di un mese dopo la morte di Sali: il suicidio del comandante della stazione di Zelo Buon Persico Pasquale Lomuscio, 43 anni. Avevano lavorato fianco a fianco, tempo prima, alla stazione dell’Arma di Cavenago d’Adda. «Mi risulta che fossero in ottimi rapporti - spiega al proposito la figlia - ma non si vedevano se non in occasione delle ricorrenze dell’Arma. Erano semplicemente buoni colleghi». I familiari di Sali non credono che possa essere stata la perdita di un collega, sia pure stimato, a far precipitare nella disperazione Lomuscio. E gli inquirenti hanno sempre fermamente escluso legami tra i due gravi episodi.

Il Lodigiano conta già molti omicidi irrisolti, e ripetere ogni volta i nomi delle vittime può sembrare irrispettoso. Tutti sono convinti che Giovanni Sali, caduto in servizio, non meriti di finire nel triste elenco.

© RIPRODUZIONE RISERVATA