Quale territorialità? Le argomentazioni sono sempre le stesse

Ci è pervenuto uno scritto da un dipendente della Casa di riposo “Santa Chiara”.

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Alla massiccia campagna volta a raccogliere consensi attorno al progetto di trasformazione di S. Chiara, attualmente ASP di diritto pubblico, in fondazione di diritto privato, si è aggiunta, dopo quella di Sel, la voce di Rifondazione Comunista, anch’esso favorevole alla privatizzazione della Casa di Riposo. Uso questo termine, perchè di privatizzazione si tratta, come tutti hanno capito e come ammettono finalmente anche i suoi fautori.

Sinceramente mi sarei aspettato qualcosa di diverso dal solito refrain che sta rimbalzando da qualche settimana a questa parte sulle pagine del quotidiano lodigiano, e, invece, le argomentazioni sono sempre le stesse, anche se questa volta un po’ più superficiali e non prive di contraddizioni, essendo difficile e avventuroso, per una formazione politica da sempre su posizioni favorevoli al servizio pubblico, trovare argomenti che giustificano una operazione di privatizzazione.

Peraltro, sono sicuro che tutti gli interventi futuri pro-fondazione non abbiano altri argomenti oltre a quelli finora sostenuti della “territorialità-lodigianità” e della “governance”, chiaro sintomo di razionalità gregaria di chi si aspetta che le proprie ragioni siano inverate dal consenso dei cittadini , che si vuole condizionare con una campagna martellante e basata sulla deterrenza di un argomento, come quello della perdita della territorialità, idoneo ad incidere sulla emotività della gente.

Rifondazione Comunista, in perfetto allineamento, fa sapere, nella nota pubblicata su “Il Cittadino” del giorno 6 c.m., che apprezza la scelta del Consiglio comunale di trasformare S. Chiara in fondazione, perchè, così, S. Chiara resterebbe sotto il controllo del Comune, «ossia dei lodigiani». Non posso fare a meno di dire che Rifondazione ha perfino scavalcato la Lega, che si è limitata a dire “Prima il Nord”, restringendo ulteriormente l’ambito territoriale della propria azione politica di prossimità: “Prima i lodigiani”, espressione di un campanilismo esasperato.

Certo, questo non può essere, e non deve essere, la finalità di un servizio pubblico offerto da una struttura pubblica, che deve assistere ed ospitare chi ha bisogno, con criteri di imparzialità e universalità. Certamente lo può fare un ente privato, che può avere un occhio di maggior riguardo verso i lodigiani, come, appunto, una bella fondazione Dotc (di origine territoriale controllata... dal Comune). Anche perchè, rimanendo pubblica, è detto nella nota, il rischio sarebbe che la regionalizzazione trasformi la Struttura in un «bacino clientelare per certi partiti» ( sic!), quasi a dire, e da altri è stato detto, che “lodigianizzandola” questo rischio sarebbe scongiurato, in quanto il Consiglio comunale è espressione democratica del territorio, rappresenta i lodigiani che lo hanno eletto, mentre la Regione rappresenta anche altri territori. Sempre secondo Rifondazione, le cause della privatizzazione sarebbero da imputare alla Regione Lombardia, che, con la L.R. 2/2012, avrebbe imposto un direttore generale e ridotto le funzioni del Consiglio di amministrazione; Rifondazione, perciò, si dice disposta a lottare affinchè il legislatore regionale ritiri la suddetta legge, con conseguente ripristino dei precedenti assetti di governo.

Siamo al paradosso totale: si imputa alla Regione un’operazione voluta e gestita dai vertici di via P. Gorini e dal Consiglio comunale. La Regione, detentrice di una potestà legislativa esclusiva in materia socio-assistenziale, è intervenuta sulla governance delle ASP, portando a compimento un assetto che era già contenuto nella legge regionale fin dal 2003, e, conformemente al principio della separazione tra il potere di indirizzo e controllo e quello di gestione, principio presente anche nell’ordinamento degli enti locali, ha affidato il primo al Consiglio di indirizzo, nel cui seno il Comune ha la maggioranza, oltre ad una serie di prerogative di alto profilo amministrativo, e ad un direttore generale le funzioni gestionali. Il direttore generale, figura già operante nella struttura da diversi anni con poteri pressochè analoghi, svolge la sua azione gestionale all’interno di un perimetro presidiato da norme severe; inoltre questa sua attività deve rispettare gli indirizzi assunti dal Consiglio e implementarne le linee programmatiche.

Per quanto riguarda gli atti di disposizione sul patrimonio della Casa di Riposo, dato che l’argomento è visto con una certa preoccupazione da parte dei sostenitori della fondazione, nulla è cambiato, se non la previsione di un ulteriore vincolo, consistente nella preventiva comunicazione di atti giuridici di disposizione sullo stesso alla Commissione di controllo.

Arrivare a dire che la Regione avrebbe messo le mani sul patrimonio dell’ASP è semplicemente assurdo. Infatti, nemmeno in caso di estinzione delle ASP, la Regione può disporre come vuole del patrimonio residuo, che viene «attribuito prioritariamente ad altre ASP operanti nello stesso Comune dell’azienda estinta ovvero, in mancanza, al Comune in cui l’azienda ha la sede legale, con vincolo di destinazione ai servizi sociali» ( art.17 L.R. 2/2003 ).

Per quanto concerne l’originaria previsione della privatizzazione ‘ope legis’ dopo due bilanci in rosso, quella norma è stata abrogata, e sono state introdotte norme che, in caso di disequilibrio di bilancio, procedimentalizzano gli interventi necessari a risanarlo, coinvolgendo nell’operazione, mediante una conferenza di servizi, diversi attori, fra cui il direttore dell’ASP.

L’ASP pubblica è, infine, soggetta a rigorosi controlli di gestione: sulle ASP vigilano diversi organi di controllo, l’ASL, la Regione stessa e la Commissione di controllo; non sarà più così nel caso della fondazione, essendo questa di diritto privato. La Regione, dunque,non ha minimamente pensato di mettere in discussione la forma pubblica di S. Chiara, limitandosi a razionalizzare la struttura del governo delle ASP, affidandone la gestione a tecnici (direttore generale) e il potere di programmazione e di indirizzo ad un Consiglio, espressione della politica locale.

Un Consiglio, questo sì, ridimensionato nel numero dei suoi componenti, da 7 a 5 e, soprattutto, non più stipendiato, in quanto il legislatore regionale ha previsto che la carica di consigliere debba essere semplicemente onorifica, in linea con quanto previsto dalla normativa nazionale in materia di coordinamento della finanza pubblica, in relazione alla riduzione del costo degli apparati amministrativi.

Così la lotta contro la L.R. 2/2012 invocata da Rifondazione per lasciare tutto come era prima, si traduce in una lotta per le poltrone, lotta che avrebbe potuto benissimo fare, senza pregiudicare la forma pubblica di S. Chiara, ma che non ha fatto, preferendo accodarsi a sostenere la sciagurata operazione della privatizzazione, una strada più breve e sicura che garantisce ai politici locali 6 ( sei ) comode poltrone, tutte remunerate: una bella riserva di caccia per fini politico-elettorali.

S. Chiara non ha problemi di bilancio o particolari criticità da risolvere, funziona benissimo così com’è e può benissimo continuare ad operare come struttura pubblica, in perfetta continuità con il suo passato più che secolare. Il fatto che S. Chiara sia stata ben amministrata in questi anni- come ASP pubblica ricordiamolo!- è anche grazie alla sua soggezione, in quanto struttura pubblica, a rigorosi controlli da parte di organismi e strutture pubbliche e continuerà ad esserlo.

L’affermazione che l’ASP di nuova edizione, quella col direttore generale, non sia più sinonimo di buona amministrazione è non solo immotivata, alla stregua di una enunciazione apodittica, pretestuosa e gratuita, ma sembra anche attestare la volontà di sminuire l’importante ruolo di controllo e vigilanza riconosciuto al Consiglio di indirizzo, nel cui seno esponenti della politica locale siedono a maggioranza, a garanzia della territorialità della Struttura. Dunque, perchè privatizzarla?

Qui nascono le preoccupazioni della lavoratrici e dei lavoratori della Casa di Riposo, che considerano la privatizzazione, oltre che come un attentato ai loro diritti e alle condizioni generali del rapporto di lavoro, anche come uno schiaffo morale, un’offesa alla loro dignità e un colpo di spugna alla qualità del loro operato, fatto di sacrifici e dedizione, perchè sanno che le privatizzazioni sono sempre contro chi lavora, nonostante gli elogi profusi nei loro confronti.

Hanno imparato a conoscere fin troppo bene la futilità delle parole e l’inestimabile valore dei fatti: in strutture privatizzate, il datore di lavoro farà di tutto per applicare un contratto peggiorativo, come sempre è avvenuto in casi simili. È lo statuto epistemologico incontrovertibile della realtà dei fatti! Le garanzie contenute nello statuto della futura fondazione, circa il mantenimento dell’applicazione del CCNL regioni ed enti locali, non reggeranno a lungo. Innanzitutto, perchè non può essere imposto ad un datore di lavoro privato, attraverso norme di qualsiasi natura, l’obbligo di applicare determinate tipologie di contratto per il personale che verrà assunto dopo la trasformazione (Corte Cost. 411/2006), e là ove ciò fosse previsto deve essere considerato, sotto il profilo giuridico, “tamquam non esset”, con piena libertà datoriale di applicare ai neoassunti un contratto diverso.

In secondo luogo, quando ciò avverrà , oltre a determinare una situazione di dicotomia tra lavoratori, per così dire, ‘meglio tutelati’, e lavoratori che lo sono meno, con evidente disparità di trattamento e problemi organizzativi seri, considerata l’incidenza, sotto tale profilo, che può avere la convivenza di regimi ed istituti giuridici diversi tra loro, avrà come logica conseguenza un aumento della pressione sui lavoratori cui si applica il contratto migliore, fino alla loro sussunzione nella sfera di applicazione di quello peggiore.

È questo che di solito avviene, che è sempre di fatto avvenuto e le lavoratrici e i lavoratori sanno che è solo questione di metodo e di tempo. Inutile sottolineare come uno scenario del genere, al quale non sarà estranea una certa soglia di conflittualità, avrà ricadute negative sulla qualità del servizio agli ospiti, in quanto peggiorando le condizioni di chi svolge un servizio tanto importante, qualificato e prezioso agli anziani, si finisce col peggiorare la qualità del servizio stesso.

Infine, lo statuto, in quanto tale, potrà essere cambiato in qualsiasi momento e all’unanimità: i partiti si fanno una concorrenza spietata per contendersi il potere, ma sanno dar prova di solidarietà quando si tratta di rimuovere gli ostacoli che si frappongono al loro cammino.

Tutti questi possibili, realistici e non troppo lontani scenari, non si verificherebbero se la Casa di Riposo rimanesse pubblica, unica vera garanzia per le lavoratrici , i lavoratori e la loro dignità: qui hanno dalla loro l’impero della legge, con la fondazione devono fidarsi delle promesse che l’esperienza e il tempo si incaricano quasi sempre di smentire. Se veramente si ha a cuore il servizio agli ospiti e le sorti di chi lavora, si faccia in modo che la struttura rimanga pubblica, come lo è sempre stata.

Rifondazione Comunista sa benissimo di aver compiuto un abominio politico nell’avallare la fondazione, perchè, così, si è ‘rifondata’ stabilmente sul terreno della governabilità dei processi secondo il principio della compatibilità con un sistema di interessi lontani da quelli dei lavoratori.

E’ stato davvero deprimente vedere esponenti del partito mobilitarsi contro noi lavoratori mentre eravamo in piazza a manifestare, invece di essere al nostro fianco a tener vivo e ad alimentare uno dei tanti fuochi di resistenza contro politiche neoliberiste.

Del resto, i partiti c.d. di sinistra hanno sempre fatto così, di fronte a processi considerati inevitabili e che mettono in discussione i diritti e le condizioni dei lavoratori: ne anticipano semplicemente le conseguenze, contando sul fatto che il padrone di sinistra sia meglio di uno di destra, un ossimoro imperituro che è sempre stato strumentalmente utilizzato per avallare scelte liberiste contro gli interessi dei lavoratori.

Un bell’esempio di bilinguismo sociale di chi, a parole, difende i lavoratori, mentre i fatti vano in direzione opposta ai loro interessi. E anche questa è una delle cause della dispersione molecolare della classe lavoratrice, senza più riferimenti politici.

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