Processo per il dramma di Bottedo

Omicidio per colpa, ma con l’aggravante della previsione dell’evento: questo la procura della Repubblica di Lodi contesta al ventenne di Bottedo G.M. che la notte del 16 novembre 2011 aveva involontariamente esploso un colpo di pistola mentre l’amico Luigi Villa, 19 anni, di Cavenago d’Adda, cercava di disarmarlo. G.M., infatti, era depresso per essere stato lasciato dalla fidanzata e aveva preannunciato il suicidio. Due suoi amici erano accorsi, con la nebbia e il gelo, in scooter da Cavenago e l’avevano trovato in una stanza con la pistola puntata alla tempia. Erano convinti di averlo dissuaso, con un fiume di parole, poi con un ultimo scatto G.M. si era nuovamente puntato l’arma, una Gabilondo 9 per 21, e Villa gli si era gettato addosso per bloccarlo, finendo ammazzato da un colpo che secondo la polizia nessuno voleva far partire.L’avviso di fine indagini notificato a G.M. prefigura, codice alla mano, una pena di cinque anni di reclusione. Non sarà così, si può prevedere: fin o a due anni e mezzo potrà beneficiare della condizionale, potrà ottenere un terzo di sconto con patteggiamento o rito abbreviato, avrà un’attenuante perché incensurato e potrebbe far valere anche il risarcimento ai genitori di Luigi. Su questo fronte però non ci sono ancora certezze: non c’è alcuna copertura assicurativa e i genitori di G.M. avrebbero fatto recentemente un’offerta frutto di pesanti sacrifici. Nella linea giurisprudenziale seguita dal pm Giampaolo Melchionna, il fatto che il ragazzo di Bottedo stesse maneggiando un’arma in presenza di altri comporta la consapevolezza delle possibili conseguenze. È però anche vero, per quanto finora trapelato, che G.M. era davvero sconvolto in quelle ore. La pistola apparteneva a suo padre. Era in un cassetto, «dimenticata da tempo» secondo il difensore Patrizia Cortesini, ma non chiusa a chiave: l’uomo è indagato per omessa custodia dell’arma e rischia una pesante ammenda. Ma per qualche mese la procura lo aveva indagato anche per “cooperazione colposa” nell’omicidio, proprio perché è stata usata l’arma che doveva tenere al sicuro.

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