
«I sacrifici di una vita? In bilico, perché non si sa come andrà a finire». Sospesi tra l’incertezza e la paura di fallire. Dopo una vita intera spesa tra lavoro e sacrifici, gli artigiani se sentono così. Delusi, confusi, vessati dalle tasse e impotenti di fronte a quella che considerano una macchina di sprechi: lo Stato. Proprio loro, che negli ultimi tempi con i loro piedi hanno sfiorato (e a volte oltrepassato) l’orlo del baratro, come dimostrano i suicidi che imbrattano le pagine di cronaca nera.
«I guai sono all’ordine del giorno - si sfogano alcuni piccoli imprenditori del settore metalmeccanico -, le tasse che ci strangolano, la burocrazia, i mancati guadagni, gli studi di settore che soprattutto in tempi di crisi non sono realistici; i sacrifici per andare avanti senza mettere gli operai in cassa integrazione e senza licenziare nessuno. Sembra di essere caduti dalla padella alla brace, la verità è che non sei salvaguardato da nessuno, da nessun governo. E anche se paghi le tasse perché devi fatturare tutto, speri di non avere a che fare con Equitalia: non c’è verso di ragionare».
La storia di Sergio Spinola, il quale ha raccontato le sue disavventure proprio sulle colonne del «Cittadino», ha suscitato comprensione tra i lettori ma anche molta amarezza. Cinquant’anni di lavoro sulle spalle, specializzato nella realizzazione di quadri elettrici, l’artigiano non ha mai lavorato per privati e ha sempre emesso regolari fatture per i lavori eseguiti. «La mia società ha ancora 8 dipendenti, in anni recenti erano arrivati a 14, poi alcuni sono andati in pensione, altri hanno cambiato di loro iniziativa, non ho mai licenziato nessuno - spiega -. Ora non c’è più lavoro, siamo fermi completamente, poiché anche i nostri clienti sono nella nostra situazione e, non venendo pagati, a loro volta non ci pagano. Purtroppo da qualche tempo anch’io ho alcuni debiti verso i miei fornitori e ad aprile non riuscirò ad onorare alcun pagamento. Mi dispiace morire così, mi vergogno, ma non c’è più alcuna speranza».
Le sue parole hanno creato una “catena di solidarietà”, soprattutto tra coloro che si trovano nella stessa situazione. Diego Nicetto ha una società che conta 5 dipendenti e 5 collaboratori esterni e ogni mese cerca di sopravvivere come può, perché programmare anche i più piccoli investimenti è diventato impossibile. «Due anni fa ho dovuto trasferire la ditta in provincia di Bergamo per sfruttare una zona più produttiva, il Lodigiano a livello industriale è gia morto da anni. I dipendenti si devono trasferire tutti i giorni con notevoli conseguenze, io, con molta fatica, sto cercando di farmi conoscere in una zona dove la presenza industriale è molto forte, la concorrenza è agguerrita e i ricavi sono sempre più bassi. Ma non mi arrendo, vado avanti, soprattutto per i miei dipendenti, che mi spronano e si sacrificano tutti i giorni per guadagnarsi uno stipendio». Da questi piccoli, piccolissimi imprenditori arriva uno scatto d’orgoglio, è lo stesso Nicetto a incalzare i “colleghi”: «Non c’e assolutamente niente di cui vergognarsi, gli imprenditori sono stati lasciati soli dallo Stato ma non siamo soli, siamo in tanti e abbiamo tutti gli stessi problemi: l’accesso al credito, la liquidità, le spese fisse». Eppure si può resistere. In fondo, lo sanno tutti gli artigiani: non c’è altra strada che continuare.
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