Pandemia, occasione di ripensamento:
ripartiamo dall’uomo e dalla bellezza

diMaria Grazia Casali

tornare allo sfruttamento selvaggio della natura, all’inquinamento che affatica il respiro della terra, all’iniqua distribuzione dei beni che divide l’umanità in straricchi e chi campa al limite della sopravvivenza.

Questa pandemia si rivela l’occasione del ripensamento, un’irripetibile opportunità di riconversione, un nuovo rinascimento dove al centro possa stare l’uomo in simbiosi con la natura. È tutto da rileggere il nostro tempo in relazione al suo apparato ecologico fragile, e a scelte umane che innervano un sistema economico e sociale infetto. Abbiamo compreso che il benessere va reinterpretato nella sua essenza, ben-essere nel senso di stare bene, di uno stato psicofisico che coinvolge ogni attività umana - relazioni, lavoro, spiritualità -; e non benessere inteso come largo e indiscriminato uso di beni.

Cosa c’entra la bellezza? Il pensiero comune ci ha abituati a considerarla un’appendice del contenuto, secondo canoni riduttivi legati soprattutto alla corporeità. Eppure siamo un paese ricco di molteplici forme del bello, con paesaggi di straordinario fascino, opere d’arte uniche, siamo un popolo che ha fatto del genio il passaporto di civiltà, l’Italia ne è testimonianza diffusa, musei e città esondano in bellezza.

Considerare il bello come valore in sé, dotato di verità e sostanza, irrinunciabile per l’esperienza interiore, significa avere una visione divergente della realtà, vedere la bellezza come parafrasi della vita, spia dell’armonia universale, linguaggio del bene, cioè segno del ben-essere.

Progettare il cambiamento che nasce dal nuovo concetto di uomo, partendo proprio dal concetto di benessere, significa ripensare le forme degli interventi formativi. L’educazione alla bellezza rientra in questa didattica della riconversione. Essere in grado di vedere le cose belle, riconoscerne il valore, procura un vantaggio di tipo psicologico: ci rende allergici all’avanzata del brutto, alla deturpazione dell’ambiente, genera reazioni di istintivo rigetto, prima ancora che ragionamenti. Se avessimo avuto una cultura alta del bello, non avremmo forse permesso la fagocitazione della nostra terra da parte di orrori edilizi, giustificati in nome dell’economia di mercato, in cui spesso albergano anche deformità sociali. La pratica dell’esperienza del bello è uno degli esiti educativi più elevati: chi è sensibile alla bellezza ha riluttanza, fastidio e rifiuto dei fatti ripugnanti, grazie a un processo inconscio che transita dal piano estetico a quello etico per cui il bello è anche buono e viceversa. Vivere in certe brutte periferie, all’ombra di metropoli anonime e commerciali, spegne il senso estetico, soffoca lo sviluppo spirituale, contagia lo stato psicologico e condiziona le scelte personali e collettive (anche quelle elettorali). Chi è abituato al carcere trova bella la prigione.

La bellezza possiede una dimensione etica e religiosa che filosofi e teologi hanno ben colto, e per i credenti è la via per arrivare a Dio. San Francesco insegna già tutto con il suo avveniristico Cantico delle creature per cui “dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro Autore”. E un altro grande Francesco, a noi vicino, con l’enciclica Laudato si’ lancia il grido di allarme di madre terra “per il male che le provochiamo a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei”.

Insegnare la bellezza della natura e dell’arte significa educare a un nuovo umanesimo, così necessario oggi, al rispetto dell’ambiente, all’armonia di costrutti e processi, all’energia vitale che ci attraversa e che è fatta di luce, colori, spazi vivibili, emozioni sensoriali che stanno alla base del nostro equilibrio e benessere. Ogni disciplina di studio può insegnarlo, la bellezza pervade sia arte che scienza, là dove la scienza interpreta le leggi che guidano l’armonia.

La bellezza salverà il mondo, dicevano Dostoevskij e Todorov. Forse avevano in mente che la parola “bello” ha la medesima radice linguistica di “buono” da cui deriva nella sua forma primordiale. Come a dire che gli antichi già avevano compreso.n

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