Nasce morto: «Ai genitori 368mila euro»

367.946,77 euro oltre agli interessi “compensativi” del 3 per cento annui dal 26 settembre 2005 alla data della sentenza di primo grado, esattamente 7 anni dopo, e agli interessi legali dal deposito del verdetto all'effettiva liquidazione: è la somma che l’Azienda ospedaliera di Lodi è stata condannata a risarcire a una coppia per una maternità mancata, causata, secondo il giudice Federico Salmeri, dalla valutazione frettolosa di un cardiogramma fetale. La sentenza, che teoricamente avrebbe potuto anche essere appellata - anche se al proposito l’Ao non si sbilancia - è tra quelle più “pesanti” per la sanità pubblica lodigiana.

I genitori del bambino nato morto si sono rivolti ad avvocati di Roma ma il giudice ha disposto che anche loro si facciano carico di una quota dei costi assistenza legale, “in ragione della soccombenza relativa a tutte le voci di danno dedotte...senza la benché minima allegazione documentale”. Il giudice ha inoltre “congruamente ridotto” la parcella dello studio legale della famiglia dichiarata vittima di malasanità, “soprattutto nella parte delle spese non provate”.

Il fatto, per come viene ricostruito dalla sentenza, risale appunto a 8 anni fa: una mamma, che avrebbe dovuto entrare in ospedale per il parto il 30 settembre e che aveva problemi di pressione, si era presentata il pomeriggio del 26 in pronto soccorso, e dopo una cardiotocografia e una visita ginecologica, era stata “rassicurata circa il normale andamento della gravidanza” e le era stato consigliato di anticipare di due giorni il ricovero per il parto. La sera stessa però la donna era stata riportata in ospedale dal marito e le era stato praticato un parto cesareo: il bambino era morto. Secondo il consulente tecnico del giudice, “non vi è dubbio alcuno che la morte del feto sia da ascrivere a un’acuta anossia dovuta al massimo distacco intempestivo di placenta...in poco più di 20 minuti si erano registrate due riduzioni della frequenza cardiaca fetale. Tenuto conto di ciò è da ritenersi che vi sia stata un’inopportuna interruzione della registrazione proprio nel momento in cui si stava modificando la frequenza cardiaca fetale...s’intende dire che si sarebbe dovuto proseguire proprio al fine di chiarire se si trattava di un segno di sofferenza fetale”. L’Ao è stata chiamata a rispondere del danno “per fatto altrui”, cioè per il comportamento dei medici. Anche se c’è solo la probabilità, e non la certezza assoluta, che un monitoraggio diverso avrebbe potuto permettere di salvare il bambino.

© RIPRODUZIONE RISERVATA