MANI PULITE Il 17 febbraio 1992 l’arresto di Mario Chiesa: una tempesta che sfiorò soltanto Lodi

Pochi mesi dopo, il 17 giugno 1992, il dramma del segretario del Psi lodigiano Renato Amorese dopo essere stato interrogato dai pm, «ma tutto si fermò a Milano»

Il 17 febbraio 1992, trent’anni esatti fa, il pm milanese Antonio Di Pietro fece arrestare in flagranza di reato il presidente del Pio Albergo Trivulzio, la principale casa di riposo di Milano, Mario Chiesa, mentre aveva appena messo nel cassetto della sua scrivania una tangente da 7 milioni di lire da un’impresa di pulizie brianzola. Con un gesto disperato, il manager pubblico allora 48enne cercò di far sparire nel water altri milioni ricevuti, si sospetta, per una precedente tangente. Sembrava una notizia come tante, invece era l’inizio dell’inchiesta “Mani pulite” e della stagione di Tangentopoli che portò alla scomparsa di quasi tutti i partiti della “prima Repubblica”.

Le indagini di Di Pietro arrivarono dopo pochi giorni a Paullo, nella filiale dell’allora Banca Provinciale Lombarda di via Mazzini, dove furono trovati cinque miliardi e mezzo di lire, tre milioni di euro parametrati ai giorni nostri, in un conto corrente e cassette di sicurezza formalmente riconducibili a una segretaria di Chiesa. Sarebbe stata l’ex moglie del presidente del Pio Albergo a mettere gli investigatori sulla pista giusta, insoddisfatta per gli “alimenti” che le passava l’ex marito, di cui conosceva le reali disponibilità finanziarie ben superiori ai compensi professionali.

Tra i lodigiani che masticano politica da decenni, l’impressione però resta che “Mani pulite” sia sempre rimasta un fenomeno di Milano, la capitale della finanza italiana, dove i pm cercavano di arrivare in alto. «Qui è un casino, volevano farmi fare il nome di Craxi, ma io non l’ho fatto», confidò Renato Amorese a un politico lodigiano, due giorni prima di venire trovato morto, con un colpo di pistola alla testa, sul suo fuoristrada in una stradina di campagna a Lodi Vecchio. Era il 17 giugno dello stesso 1992. Amorese era il segretario cittadino del Psi di Lodi e ancora pochi giorni dopo l’arresto di Mario Chiesa compariva sulle pagine de «Il Cittadino» in una scaramuccia con il segretario della Dc su questioni della casa di riposo. Di Santa Chiara però. Amorese però era nel Cda della Sogemi (Ortomercato) e per quello finì nel mirino (dei Pm). E in quegli stessi giorni, il 21 febbraio del 1992, Bettino Craxi arrivò a Lodi in piena campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento: «Non sono il candidato numero uno per la presidenza del consiglio - disse dal palco delle Vigne -. Da quello che vedo e sento, sono l’unico». E sul caso Chiesa: «La disonestà non è nostra, ma di chi l’ha compiuta. In 50 anni di storia milanese, non ricordo un solo caso di amministratore socialista che sia stato condannato per reati gravi come corruzione o concussione».

Tre mesi dopo, proprio a Lodi ci fu il primo suicidio di Tangentopoli. Quello di Amorese. Un’inchiesta chiusa in fretta, e già allora il Procuratore Roberto Petrosino sgombrò il campo: «Amorese ha ammesso il suo sbaglio. Ma il fatto riguarda l’ inchiesta di Di Pietro e non il nostro tribunale. Ho visto le lettere che ha lasciato. Sono commoventi. Lettere di un uomo che ha sbagliato e si pente». Nessun filone lodigiano per la Procura di allora, questa era la linea. Qualche tempo dopo, un pm che sognava di squarciare il velo tacciò i lodigiani di essere omertosi. Sollevando un coro di reazioni sdegnate. Ma chi allora era in politica condivide la versione del Procuratore capo: cosa c’era nelle casse del Psi di Lodi? O del Pci o della Dc? In una terra di paesi e campi, tutt’altro contesto rispetto ai palazzi della metropoli. Ma è anche evidente che è la politica che rende edificabili i campi.

Mani Pulite è passata alla storia come la caduta di un sistema, che secondo l’economista Mario Deaglio valeva 10.000 miliardi di lire annui di costi per i cittadini, un indebitamento pubblico fra 150.000 e 250.000 miliardi di lire. Chiesa era accreditato di percentuali del 10% sugli appalti, per quanto emerso dalle inchieste, una quota di questo sistema alimentava i partiti, il resto rimaneva ai vari intermediari. Ma il sistema erano anche i presunti finanziamenti sovietici al Pci e quelli Usa alla Dc. Qualcuno si lanciò anche in calcoli sui costi per chilometro delle infrastrutture italiane: 192 miliardi a chilometro per la MM3 di Milano contro i 45 miliardi del metrò di Amburgo, 100 miliardi a chilometro per il passante ferroviario di Milano contro i 50 di quello di Zurigo. Un elenco di lodigiani che in quel periodo finirono indagati per presunti reati contro la pubblica amministrazione sarebbe sicuramente interessante, ma a tutti sarebbe anche dovuto un «come è andata a finire» di non sempre facile ricostruzione.

Più utile, però, sarebbe rimettersi oggi a calcolare quanto costano un chilometro di strada o ferrovia in Italia e quanto in altri Paesi. «Oggi il potere vero è nelle mani dei dirigenti e dei funzionari, non più dei politici - riflette Giampaolo Colizzi, ex esponente del Psdi, a lungo presidente del consiglio comunale di Lodi -. E i partiti non ci sono più, non esistono tesserati, militanti. La gente ha perso la fiducia nella politica, che a sua volta ha fatto molto per allontanare la gente. E non credo che la colpa sia stata di Tangentopoli, nè che sia un fenomeno solo italiano».

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