«Quanto è successo è di una ferocia inaudita e non può lasciare indifferenti. Ma tutto questo non autorizza certo a criminalizzare la zona e i suoi abitanti, a descrivere luoghi e persone come se fossero sotto scacco e il quartiere come una periferia di una grande metropoli dove regna la violenza e la sopraffazione». Così sono intervenuti i rappresentanti dell’associazione “Viviamo insieme il nostro quartiere”, dopo il terribile omicidio del carabiniere di quartiere Giovanni Sali. Un “giallo” che non è stato ancora risolto dalle forze dell’ordine. L’assassinio ha scosso la città bassa, dove da anni il gruppo di volontariato è impegnato. Venerdì diversi membri dell’associazione, insieme con l’assessore alle politiche sociali del Broletto Silvana Cesani, hanno organizzato una riunione per discutere di quanto accaduto. «Questo ci interpella direttamente e ci interroga anche sul significato del nostro lavoro. Non è nostra intenzione negare i problemi – scrive Nino Bonaldi con gli altri rappresentanti del gruppo -. Sono proprio quest’ultimi che ci hanno spinto ad impegnarci per tentare di fare incontrare culture e abitudini di vita differenti, creare momenti di socialità, sviluppare attenzione nei confronti delle persone anziane e dei bambini, promuovere feste sul lungo fiume e alla Maddalena». E poi è stato aggiunto: «I problemi esistono: la convivenza tra persone di culture, età ed esperienze diverse, zone del quartiere che hanno bisogno di interventi di riqualificazione e maggiore illuminazione e alcune situazioni che andrebbero meglio presidiate (nonostante a qualche centinaio di metri dal luogo del delitto vi sia una caserma dei carabinieri, una sede della polizia locale, la guardia di finanza e la questura). Tuttavia, problemi di convivenza, di degrado, di difficoltà e di sicurezza sono presenti e segnalati anche in tutti gli altri quartieri della città. Per tentare di mettere a fuoco tali problematicità, intercettare le fragilità, affrontare i conflitti, come associazione ci siamo fatti promotori di un progetto che prevede l’attivazione di una figura di supporto quale il custode sociale. Ci auguriamo anche che quanto accaduto non diventi l’occasione per introdurre elementi di divisione, di denigrazione, di lacerazione del tessuto sociale popolare del nostro quartiere».
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