LODI/ESCLUSIVA - «Una nuova fondazione per gestire il Linificio». La sfida: «Candidare Lodi come capitale italiana della cultura del 2026» - Guarda l’intervista

Marco Parini, già assessore alla cultura di Milano, intervistato dal direttore del «Cittadino» Lorenzo Rinaldi in redazione

L’avvocato Marco Parini è vicepresidente del Museo Bagatti Valsecchi di Milano, docente presso l’Università Cattolica di Milano ed è stato assessore alla Cultura del Comune di Milano. Il 15 settembre 2012 è stato eletto Presidente Nazionale di Italia Nostra, carica che ha ricoperto per cinque anni fino alla fine di maggio 2017. Milanese, vive a Lodi da alcuni anni, è presidente e fondatore dell’Associazione Proposta Culturale che ha l’obiettivo di fare di Lodi una vera città d’arte, partendo dalla creazione di una fondazione per la gestione del polo museale dell’ex Linificio, e con il sogno di una candidatura come “Capitale italiana della cultura”.

Io partirei proprio da questo: il Linificio e la Fondazione.

«Certamente la scommessa dell’ex Linificio è di grande importanza per la città di Lodi che ormai da tanti anni non ha più un museo aperto, conserva le sue opere nei depositi e quindi rappresenta per l’intera regione Lombardia un significativo vulnus in quanto è l’unico capoluogo di provincia che appunto non dispone di un museo civico. Quella dell’ex Linificio è una scelta interessante, che va a recuperare un edificio di archeologia industriale significativo. Ha però alcune valutazioni da farsi. La prima, la dimensione di questo complesso che supera i 10mila metri quadri, quindi le funzioni poi recuperabili e immaginabili. I musei rispondono ad alcune esigenze di carattere organizzativo e funzionale: un museo ospita le sue opere, ha spazi per esposizioni temporanee, ha una funzione didattica, deve avere spazi per la ricerca e per i servizi aggiuntivi. Di fatto, produce cultura. Questo è assolutamente fondamentale, anche perché Lodi gode di una posizione interessante sotto il profilo della vicinanza con la metropoli milanese. Parliamo di 30 chilometri e con collegamenti ferroviari, autostradali e stradali assolutamente importanti per valorizzarla in un’ottica di turismo di prossimità. È chiaro che un museo di queste dimensioni è un museo che deve vivere anche di flussi, deve mantenersi, ha dei costi di gestione molto elevati e sono sicuro che il dottor cancellato che sta seguendo la consulenza saprà tenerne conto.

Lodi gode di una posizione interessante sotto il profilo della vicinanza con la metropoli milanese. Parliamo di 30 chilometri e con collegamenti ferroviari, autostradali e stradali assolutamente importanti per valorizzarla in un’ottica di turismo di prossimità.

Ecco quindi la necessità di realizzare anche grandi eventi espositivi che comportino flussi significativi. Ma se il finanziamento conseguente agli accordi del Pnrr contribuirà ai costi di realizzazione, bisogna pensare già oggi ai costi di gestione e ai costi di funzionamento. E credo che non possono gravare sulle casse del Comune, perché la dimensione del bilancio comunale non può sopperire a un costo di gestione di questo tipo. Ed ecco quindi che a questo punto bisogna, a mio avviso, immaginare un soggetto di gestione autonomo rispetto al bilancio, quindi con un’autonomia patrimoniale e giuridica che naturalmente tenga conto del fondamentale ruolo del Comune».

Il soggetto è la Fondazione.

«Quasi tutti i capoluoghi di questa regione ne hanno una. Un soggetto che gestisca non solo l’attività del museo, ma anche lo sviluppo culturale della città, inteso nel senso di un motore ulteriore allo sviluppo anche economico di questa città. E qui si apre un secondo capitolo. Lodi ha una storia straordinaria: la tipicità di questo luogo è sempre stata fondamentale. E questa straordinaria realtà non è conosciuta, almeno per quel che meriterebbe. Lodi potrebbe diventare come una di quelle città d’arte tanto care alla Italia centrale, ma a 30 chilometri da Milano».

Lodi ha una storia straordinaria: la tipicità di questo luogo è sempre stata fondamentale. E questa straordinaria realtà non è conosciuta, almeno per quel che meriterebbe.

Come valorizzare tutto questo patrimonio?

«È necessaria una cabina di regia. Ecco quindi immaginare che la Fondazione possa procedere alla valorizzazione dell’intera città. Ovviamente d’accordo con i proprietari degli asset che non passerebbero certo mai in proprietà».

In qualche modo esiste un ente promotore?

«Beh, certamente il Comune è importante, la Provincia può essere anche importante, ma all’interno di questo si potrebbe anche immaginare una presenza, ovviamente non condizionante ma importante, del mondo dell’imprenditoria del territorio. È importante il rapporto con la Diocesi, non solo per quello che rappresenta sotto il profilo etico morale, ma anche storico. Tutto questo, ovviamente, con due obiettivi: il primo quello di valorizzare anche degli asset cittadini interessanti. Innanzitutto la Cavallerizza, che mi sembra un obbligo».

Cosa ci farebbe lì?

«Certamente non rimuovere la struttura metallica rimasta all’interno, anche perché la sua rimozione comporterebbe un impegno, un costo spaventoso. Ma lì io penso che potrebbe nascere uno splendido museo della ceramica lodigiana.

Anche perché attorno a una realtà di questo tipo può nascere una serie di eventi espositivi legati a questo tema, così come accade in altri musei. Poi ci sono altri edifici. La Cavallerizza è collegata all’ex Asilo Garibaldi attraverso uno splendido giardino a declivio che può diventare un luogo di grande riflessione, di studio e riflessione. È un edificio di proprietà comunale, un parallelepipedo in buone condizioni e che può diventare un laboratorio molto importante, un archivio molto importante. Tra di noi, riflettendo, abbiamo immaginato e pensato che in questi anni, in ben 13 occasioni, si sono tenute lodi delle manifestazioni legate alla fotografia. Il Festival della fotografia etica rappresenta un appuntamento importante, che ha creato un importantissimo archivio che potrebbe trovare spazio in questo luogo».

C’è poi il locale dell’ex archivio, in via Fissiraga...

«Un edificio splendido, interessante, dismesso nelle sue funzioni ormai da tempo, ma che io vedrei assolutamente da recuperare funzionalmente. Una sorta di una casa delle associazioni, delle fondazioni dove si sviluppa e si produce cultura, idee, progettualità. Non è pensabile che rimanga a quelle condizioni».

Cosa significa pensare in grande per Lodi?

«Significa immaginare di leggere sotto un cartello Lodi “città d’arte”. Perché lo è e se lo merita. Significa creare per i commercianti un volano di attività di vendita così come accade, ad esempio in tante città d’arte dell’Italia centrale o del Veneto, che di questa economia, quella turistica, hanno fatto uno degli asset principali dello sviluppo. Il modello della Fondazione sarebbe anche utile dal punto di vista della capacità di intercettare i finanziamenti».

Il modello della Fondazione sarebbe anche utile dal punto di vista della capacità di intercettare i finanziamenti

Ma tutto questo dove potrebbe portare?

«L’idea è quella di candidare la città a capitale della cultura».

Abbiamo perso un’occasione importante quando sono state scelte Bergamo e Brescia, a non agganciarci alla cordata. Si può recuperare?

«La suggestione di correre da soli nel 2026 potrebbe essere ancora più affascinante. Lodi può ambire a proporsi insieme al suo territorio e ai territori confinanti, perché ormai questi processi investono territori più ampi rispetto al nucleo di un singolo comune, come capitale della cultura italiana 2026. Magari non riusciremo a vincere, ma nel mondo della comunicazione risulta già fondamentale candidarsi, con una candidatura seria, motivata e strutturata. È già un elemento importante perché attesta il convincimento del territorio e della sua popolazione nel ritenere di essere all’altezza di una scommessa di questo tipo».

Lodi può ambire a proporsi insieme al suo territorio e ai territori confinanti, perché ormai questi processi investono territori più ampi rispetto al nucleo di un singolo comune, come capitale della cultura italiana 2026.

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