Lodi, un viaggio nel parco (ripulito) dello spaccio

C’è chi si è complimentato ad alta voce («Era ora che si vedesse qualcuno qui») e chi è andato a stringere le mani agli agenti. È bastata la presenza di una pattuglia della polizia di Stato perché ieri mattina il parco di via Fascetti si presentasse agli occhi dei lodigiani insolitamente vuoto di bivacchi e di personaggi controversi. È bastata la presenza di tre agenti con la vettura di servizio, i giubbotti antiproiettile indossati e la Beretta M12 (la pistola mitragliatrice in dotazione) bene in vista per cambiare il volto di questo angolo di Lodi dove lo spaccio di droga avveniva ormai alla luce del giorno.

Una presenza non solo formale: in un paio d’ore, dalle 10 alle 12, sono sei le persone controllate, una delle quali (un ragazzo africano) portata in questura pochi minuti dopo le 11. Ad accompagnarlo sono gli stessi agenti che stazionavano lì, supportati da un altro equipaggio giunto nel frattempo. Negli stessi istanti una terza pattuglia arriva su una jeep a sostituire i colleghi. La jeep viene parcheggiata all’ingresso del parco su viale Pavia, con il muso rivolto all’uscita del sottopassaggio della stazione. I tre poliziotti indossano i giubbotti, il capopattuglia imbraccia la M12.

Quanto al parco, si presenta insolitamente vuoto. Di bivacchi non se ne vedono ma i segni quelli sì, si percepiscono bene a osservare con attenzione. Nonostante la pulizia e l’erba tagliata di fresco attorno alle panchine c’è una distesa di tappi di bottiglie e linguette di lattine di birra e mozziconi. Non che non ci sia pulizia. Verso le 10.30 ci pensano alcuni richiedenti asilo: indossano giacche catarifrangenti e passano a svuotare i cestini e raccogliere cartacce lasciate in giro.

Alle 11.30 gli agenti all’ingresso controllano un ragazzo africano che passa per viale Pavia. Fermano anche un giovane dell’Est, entrato in bicicletta per bere alla fontanella di fianco all’ingresso, che non pare gradire la richiesta dei documenti. Abbozza una protesta («Sto facendo il mio lavoro» gli replica l’agente mantenendo la calma) ma poi si mette a parlare con i poliziotti e la tensione si allenta. È lasciato andare dopo qualche minuto, insieme al ragazzo africano. Verso le 11.45 si vedono anche due carabinieri di quartiere: entrano da viale Pavia, attraversano il parco ed escono dal cancello di via Fascetti. I poliziotti, nel frattempo, fermano un altro ragazzo nordafricano, dall’aspetto molto giovane, entrato dall’ingresso di via Fascetti. È su una bici da donna, indossa un cappello da rapper e ha uno zaino. «Sei studente? Stai andando a scuola?» gli chiedono. Pochi minuti poi lo lasciano andare. Stessa sorte per un ragazzo africano, anche lui su una bici da donna, anche lui fermato mentre sta uscendo su viale Pavia («Check point, stop, please. Dove sta andando? Ha un documento?») e per un uomo nordafricano uscito dal sottopassaggio di via Dall’Oro su una sorta di mini bici da bambino. Verso le 12 e un quarto i due carabinieri di quartiere ripassano nel parco provenienti da via Fascetti ed escono passando per il “check point”. «Tutto bene, ragazzi?». «Tutto bene, grazie». Agenti e militari si stringono la mano. «Buon lavoro, ragazzi». «Buon lavoro a voi».

Poco prima era stata una signora con la borsa della spesa a fermarsi per parlare con i poliziotti.

Prima di andarsene, ha voluto stringere la mano a un agente. Sta in quella stretta di mano il bisogno di sicurezza di una città intera.

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