Lodi, la terapia intensiva al top in Italia

Avevano un’alta probabilità di morire, invece si sono salvati. Stiamo parlando dei pazienti ricoverati nella terapia intensiva di Lodi (Tis). Il reparto, guidato dal medico Enrico Storti, in arrivo da Milano Niguarda, nel febbraio del 2016, è stato giudicato dall’istituto Mario Negri tra i migliori d’Italia, ma non solo. Lo studio ha messo a confronto 251 terapie intensive. Quella di Lodi, che assiste circa 164 pazienti all’anno, il 28,7 per cento con più di 3 insufficienze d’organo e l’11,7 con un arresto cardiaco, è tra le prime 34. Un risultato eccellente, che supera di molto le performance dello stesso reparto registrate nel 2015. Il dato fa riflettere, soprattutto se messo a confronto con l’entità delle risorse impiegate. Nel 2015, ad esempio, i farmaci della terapia intensiva erano costati all’ospedale 328mila euro, 229mila, invece, nel 2016: si sono spesi 99mila euro in meno, ma i pazienti sono stati curati meglio. Secondo l’analisi del prestigioso istituto di ricerca, la terapia intensiva di Lodi ha salvato da morte quasi certa ben 8 persone.

«Si sono registrati 8,1 decessi in meno rispetto a quanto predetto dal modello considerato - spiega meglio il primario -. Nel 2015, invece, erano stati osservati, complessivamente, 0,8 decessi in più, sempre rispetto a quanto predetto dal modello messo a punto». Presso il laboratorio di epidemiologia clinica dell’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri è operativo, infatti, uno dei più grandi gruppi collaborativi di ricerca in terapia intensiva esistenti, il Giviti (Gruppo italiano per la valutazione degli interventi in terapia intensiva)che promuove e realizza progetti di ricerca indipendenti, orientati alla valutazione e al miglioramento dell’assistenza in questo ambito disciplinare. E che consente agli stessi primari di capire dove e come stanno andando. A differenza di tanti altri studi, dove a un inserimento di dati non corrisponde alcun riscontro.

«A parlare sono i numeri - spiega Storti -, non stiamo trattando di qualità percepita, ma quantificata con sistemi di calcolo matematici pubblicati anche sulle più accreditate riviste scientifiche internazionali». Il modello, infatti, considera il numero dei pazienti intensivi ricoverati, 164 in questo caso, la loro gravità, il numero dei letti, quello degli operatori e l’accesso alle strumentazioni tecniche. Sulla base di questi numeri si predice quanti sono i malati che hanno un’alta probabilità di decesso, ma si salvano, e viceversa, quanti hanno un’alta probabilità di salvarsi e invece non ce la fanno. Ad ogni esito è associato un punteggio positivo o negativo. «Lodi - aggiunge Storti - è nel primo 13 per cento delle migliori terapie intensive d’Italia. La partecipazione a questa raccolta dati di livello internazionale è stata possibile ed è attualmente possibile anche grazie all’impegno di due dei miei collaboratori, Omar Alquati e Giacomo Dell’Avanzo, che fisicamente impiegano del tempo in più, rispetto a quello riservato all’assistenza, a inserire i dati nell’apposito software».

Come ha fatto la struttura del settimo piano a migliorare la performance rispetto al 2015 e a guadagnare posizioni è presto detto. Al suo arrivo a Lodi Storti l’aveva annunciato: «Faremo lavoro di squadra». Non era solo uno slogan o un modo di dire. «I letti, le persone e la casistica non si sono modificate - spiega Storti -. La terapia intensiva ha cambiato il modo di lavorare al suo interno e anche quello in relazione al pronto soccorso e ai reparti. Ed è cambiato anche il loro modo di relazionarsi con noi. Prendiamo in cura i malati ancora prima che arrivino in Tis, prima che le loro condizioni peggiorino. Anche l’istituzione del Met (medical emergency team) ha fatto sì che i malati vengano portati prima in Tis. Le nostre consulenze con il pronto soccorso guidato da Stefano Paglia sono più mirate. Stiamo lavorando in maniera coordinata. Anche tenere i pazienti in osservazione breve aiuta. Gli shock settici, per esempio, che sono le situazioni più gravi, vengono trattati già in pronto soccorso. Prima ognuno lavorava per conto suo adesso non è più così. È anche questa sinergia che ci ha permesso di essere giudicati tra i migliori»

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