Lockdown e didattica a distanza hanno rubato ai giovani l’esperienza del gruppo

Psicologo a confronto con le famiglie dell’Itis Volta: «Dopo che ci hanno mandato l’esercito, dovrebbero metterci a disposizione anche degli specialisti»

«Abbiamo avuto morti, feriti, eventi traumatici. E quindi è stato qualcosa che assomiglia alla guerra. E la prima azione utile è stata rintanarsi per proteggere noi stessi». Ma cosa è venuto dopo? Che lasciti registriamo oggi sui ragazzi, costretti a rinunciare alla vita sociale tra pari, punto fondante della loro crescita, e anche alla scuola in presenza, per lungo tempo. Il Comitato Genitori dell’IIS Volta tende la mano a tutti i genitori - per capire meglio i figli e avere strumenti in più per sostenerli - e chiede l’aiuto di uno specialista. Appuntamento con il dibattito d’attualità - rigorosamente online - lunedì scorso con lo psicologo e psicoterapeuta Giovanni Barbaglio, in una serata di approfondimento studiata per dare qualche strumento in più alle famiglie, anche per far capire loro che non sono sole. Una riflessione - come ha specificato Barbaglio - «che vuole dare coraggio e qualche strumento per affrontare le difficoltà che da genitori potete incontrare sul vostro cammino». Considerato che «quello che è successo è qualcosa di incredibilmente grande, una situazione difficile e imprevedibile - ha spiegato - che ha portato con sé conseguenze enormi per tutte le categorie di individui. Per gli anziani è stata la rinuncia a ogni contatto, per gli adulti con famiglie, i timori dei contraccolpi economici, le domande sulla protezione dei figli. Per i più piccoli è stata dura la rinuncia a ogni occasione sociale, alla vita con i coetanei, ma fino a una certa età è la famiglia il nucleo di riferimento. Per gli adolescenti, invece, credo sia stato ancora più duro, perché a quell’età è il gruppo tra pari a prendere il posto della famiglia come riferimento imprescindibile. È mancato loro un pezzo importante di vita, legato alla fisicità, al contatto, al confronto tra pari, che lascia un segno». Una reclusione che, come dimostrano le ricerche condotte e anche alcuni casi di cronaca, ha portato con sé anche conseguenze di tipo psicologico, come l’aumento dell’irritabilità, dell’ansia, degli scatti d’ira e anche, nei casi più seri, esplosione di violenza. Raccontate, ad esempio, dagli incontri tra gruppi di adolescenti fissati per aggredirsi fisicamente. Se la famiglia rimane comunque il nucleo fondante della società, è qui che i giovani possono trovare risposte e strumenti. E in questo, essenziale, è continuare a coltivare un dialogo costante con i figli, per cogliere ogni eventuale segnale di malessere. Anche per decidere di rivolgersi a un professionista qualora ce ne fosse la necessità. «Ci hanno mandato l’esercito per la zona rossa, ma oggi credo serva un esercito di psicologici e psicoterapeutici per le conseguenze di quel che è stato: non si può nascondere tutto sotto il tappeto». Con i ragazzi, ha spiegato Barbaglio, può essere utile attivare anche meccanismi di rinforzo e punizione, qualora mancassero motivazione o vi fossero atteggiamenti sopra le righe. Da mettere in atto però nell’immediato.

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