L’INCHIESTA Tra Lodigiano e Sudmilano una rete sottile di legami con la criminalità organizzata

Mafia, stidda gelese, camorra, Sacra Corona Unita e ’ndrangheta: ecco gli episodi più scottanti

Dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro atteso dalle autorità da trent’anni, anche perché in tanti sperano di poter aggiungere nuovi capitoli alla ricostruzione storica e giudiziaria delle attività e dei collegamenti di Cosa Nostra in Italia e non solo, ci si domanda se cambierà, o se sia già cambiato, l’equilibrio tra organizzazioni criminali e se la vittoria dello Stato sul superlatitante possa arginare il potere della mafia siciliana. Nel Lodigiano e nel Sudmilano di mafia si parla poco, vuoi perché qualsiasi ipotesi di reato di tipo mafioso passa immediatamente alla competenza della Direzione distrettuale antimafia di Milano vuoi perché i numeri del territorio, circa 370mila abitanti, sono poca cosa rispetto a quelli di realtà come il Milanese e la Brianza, che anche dal punto di vista economico hanno un peso di molte grandezze maggiore.

LA MAFIA

Anche se c’erano già state delle avvisaglie, come il caso mai risolto dei camion di una cooperativa che raccoglieva rifiuti dati alle fiamme a Crespiatica e poi il doppio rogo della vettura privata del presidente di quella cooperativa, la presenza della mafia nel Lodigiano era diventata più che un sospetto nel settembre del 2009, quando tre persone tra Sant’Angelo e Ospedaletto e altre sei in Sicilia erano state arrestate nell’operazione “Matassa” della polizia di Stato, l’inchiesta sulla società Italia 90 che oltre a essersi aggiudicata l’appalto milionario per l’immondizia di Sant’Angelo era arrivata a gestire il servizio anche in sei Comuni del Basso Lodigiano. Secondo l’accusa il titolare Claudio Demma aveva ingrandito l’azienda grazie alla disponibilità di capitali che veniva spiegata dagli inquirenti con il fatto che “Gino u’ mitra”, presunto capomafia del quartiere Kalsa di Palermo, fosse suo suocero. Il Riesame di Palermo aveva poi dissequestrato l’azienda e beni per 22 milioni di euro, Demma in primo grado era stato condannato a otto anni per vari reati. Ma non di tipo mafioso, perché altrimenti il processo si sarebbe celebrato a Milano. In aula era emerso un mondo: incontri presso la concessionaria di camion di un parente dei Madonia a Palermo per decidere chi avrebbe raccolto i rifiuti a Sant’Angelo e uno degli arrestati che era socio dell’Aquapark di Campobello di Mazara, attività che aveva come soci anche imprenditori che erano attivi nel Lodigiano in tutt’altro settore. Il debutto di Italia 90 nel Lodigiano era stato nel 2001 a Merlino e a Comazzo, che si erano consorziati, ma nessuno ha mai voluto chiarire se lo sbarco della ditta palermitana fu solo una coincidenza o se c’era qualche “sponsor” politico. Demma però si vantava di essere già attivo dal tempo al Nord e, intervistato dopo la custodia cautelare, si era anche lamentato che in Liguria tempo prima avevano dato fuoco ai camion della sua ditta: “Chi ci brucia, lo sa perché ci brucia”, aggiunse. Ma non bisogna neppure dimenticare l’operazione Esperanza della Dda del 2013 con perquisizioni, controlli, arresti e denunce tra Tavazzano, Lodi, Massalengo, Tribiano e Peschiera a carico di un gruppo criminale che operava in maniera fraudolenta nel settore delle cooperative, ma era attiva anche nell’edilizia e nel commercio, e usava i soldi per aiutare le famiglie dei carcerati e i latitanti. Giravano sacchetti pieni di banconote da cento euro ma il tribunale di Milano ha poi escluso qualsiasi aggravante mafiosa. Ce n’era abbastanza già così, comunque.

LA STIDDA GELESE

Da una scissione in Cosa Nostra alla fine degli anni Ottanta sarebbe nata in provincia di Caltanissetta la “stidda” gelese. Nonostante i 1.433 chilometri di distanza tra Gela e San Giuliano Milanese, proprio a San Giuliano la mattina del 2 ottobre del 1988 il muratore di 32 anni Cristoforo Verderame fu crivellato di proiettili davanti all’ingresso dell’asilo Enrico Fermi di Borgolombardo, mentre attendeva l’uscita di uno dei suoi figlioletti. Un assassino per cui è ancora in corso un processo e che gli inquirenti spiegano come un’esecuzione ordinata da Cosa Nostra (nell’ipotesi l’area Rinzivillo – Emmanuello – Madonia) per mettere in riga la Stidda gelese che stava diventando concorrente negli affari illeciti dello spaccio ma anche degli appalti in edilizia. Nel 2019 un costruttore sangiulianese ha subito tre incendi dolosi, nell’ufficio e in due cantieri, e una richiesta estorsiva di 150mila euro, i carabinieri all’esito delle indagini avevano arrestato due gelesi (e un melegnanese), le cui responsabilità sono ora al vaglio in tribunale. Ma il cognome “Verderame” è risuonato poche settimane fa in aula tra quelli incontrati dagli inquirenti durante le loro verifiche. E il costruttore vittima dei reati, in un’intercettazione ambientale fatta per chiarire cosa davvero pensasse di quegli atti, è stato sentito imprecare contro “i gelesi”.

LA CAMORRA

Nel dicembre del 2001 un pregiudicato quarantenne campano, in fuga dopo un’indagine per un traffico di farmaci gestito dalla camorra, fu arrestato dai carabinieri in stazione a Lodi, dopo che si era scoperto che viveva da qualche tempo ospite di un amico in un paese delle vicinanze. E un anno dopo si era scoperto che la camorra aveva fatto rubare carichi di medicine a San Donato Milanese per rivenderle in Campania. Nello stesso anno un presunto killer 41enne della cosiddetta Nuova famiglia camorristica era stato arrestato a Cerro al Lambro, dove si era trasferito con i parenti. Nel febbraio del 2004 a San Martino in Strada, presso parenti, era stato arrestato un 27enne casertano all’esito di un’articolata inchiesta sulla camorra attuata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli sulla faida che da anni stringeva Villa Literno e Casal di Principe in una morsa di terrore. Latitante da un anno, nel dicembre del 2005 a San Giuliano fu poi arrestato il 28enne Antonio Lorusso, ritenuto bene inserito tra i clan di Secondigliano. Camorristi sì ma nascosti, quindi, anche se secondo l’associazione Codici si tratterebbe di presenze attive, stando all’allarme lanciato nel 2007: «Il Lodigiano rimane completamente sotto la sfera d’influenza del clan camorrista dei Casalesi, che dal Casertano sta prosperando in mezzo mondo» in una ricerca sulle mafie in Lombardia presentata a Milano. Pochi mesi dopo, la Dia milanese aveva denunciato pubblicamente infiltrazioni nel mercato immobiliare del Lodigiano. Per non dimenticare l’omicidio del gennaio del 2012 del muratore Saverio Verrascina sotto casa sua a San Giuliano, che avrebbe pagato con la vita lo sgarbo a persone vicine al clan Gionta. Ma per arrivare ad anni più recenti, un’inchiesta della polizia stradale sui “calzinari” che assediavano gli Autogrill del Lodigiano convincendo con fare intimidatorio gli automobilisti ad acquistare le loro calze avevano collegamenti con una famiglia camorristica cui sembra girassero parte dei loro guadagni.

LA SACRA CORONA UNITA

La cosiddetta “quarta mafia” radicata in Puglia sarebbe l’ambito di provenienza delle bande armate fino ai denti che assaltano i furgoni blindati. Ma potrebbe non trattarsi di attività solo di passaggio, dato che nel dicembre del 2005 un latitante della sacra corona unita, Giovanni Neviera, era stato catturato dagli agenti della squadra mobile lungo la tangenziale di Lodi allo svincolo per San Bernardo. Cosa ci faceva qui?

LA ‘NDRANGHETA

Anche la placida Lodi fu colpita dai sequestri di persona negli anni ’70, e ricorrono nelle cronache di quelle vicende diversi cognomi legati alla cosiddetta ’ndrangheta Jonica, tra l’altro non bisogna andare più indietro del 2020 per trovare un provvedimento di interdittiva antimafia della Prefettura a una società operante nella zona di San Colombano ritenuta legata a un esponente della criminalità organizzata calabrese. Come ripetuto all’infinito dalla Dda milanese, in Lombardia la ‘ndrangheta preferisce non sparare e nel mondo del sindacalismo più impegnato non si fa mistero del timore che attraverso cooperative e consorzi di facchinaggio attivi nella logistica, ma forse anche a un livello superiore, qualcuno stia attuando da anni un gigantesco riciclaggio di denaro. La relazione della Dia nazionale relativa al primo semestre del 2020 ha parlato di ’ndrangheta «presente» in provincia di Lodi, dopo che isolate emergenze investigative avevano segnalato singole attività di personaggi in contatto con il crimine organizzato. Il gruppo ndranghetista presente nel Lodigiano secondo la Dia sarebbe «una cellula collegata alla cosca Alvaro di Sinopoli (Reggio Calabria)», e la presenza sarebbe stata individuata contestualmente a indagini che hanno evidenziato nel Pavese un’altra cellula legata «al locale di Laureana di Borrello». Ma nella geografia dell’antimafia il Lodigiano rimane l’unica provincia in cui non sarebbe attiva una “locale”, cioè una centrale di comando della ‘ndrangheta. E pensare che invece un paesino come Pioltello, neppure troppo distante, ha una “locale” tutta sua. Per non dimenticare nel frattempo che nel 2009 andarono a fuoco due ruspe in una cava tra Lodi e Boffalora e secondo la Dda i responsabili sarebbero stati due uomini legati alla’ndrangheta.

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