«La rivoluzione verde partirà dai più giovani»

Il fondatore dell’Erbolario ragiona sul futuro di Lodi

«Dobbiamo aver più fiducia nei giovani, che sono sensibili all’ambiente. Con la loro eroica insistenza sono in grado davvero di fare centro. Pensiamo a Greta Thunberg, che a soli 16 anni ha cominciato a lanciare i suoi appelli». Da qui per Franco Bergamaschi, fondatore de L’Erbolario, è possibile partire per costruire la Lodi del domani, una città più verde e sostenibile. «La chiave di volta sta nel binomio tra rispetto della terra e cultura, che va intesa come consapevolezza che questa nostra casa comune va preservata anche per le generazioni che verranno», spiega la guida del colosso lodigiano della fitocosmesi, nato nel 1978 da una piccola erboristeria e diventato una ditta da 79 milioni di euro di fatturato, 5.500 punti vendita in Italia ed export in 42 Paesi del mondo.

È da Bergamaschi che comincia il cammino del “Cittadino” a fianco di alcune personalità per discutere sul futuro del capoluogo, un viaggio che inizia da dieci interviste ad esponenti del mondo dell’impresa, delle professioni e della cultura.

L’Erbolario è modello di sostenibilità e rispetto dell’ambiente, come può essere esempio per Lodi?

«Qui a L’Erbolario abbiamo installato un parco fotovoltaico da 977 chilowatt nell’ora di picco. Ma per avere una Lodi davvero più verde sarebbe necessario ci fosse una cultura generalizzata della sostenibilità, quindi sarebbe bello che in tante case ci fossero piccoli impianti per produrre energia pulita, da 3 fino a 7 chilowatt di picco, per poter alimentare i bisogni. Tanti piccoli passi portano ad importanti risultati».

Secondo lei come è possibile raggiungere questo obiettivo?

«Anzitutto non dimentichiamo di ciò che in città è già stato fatto negli anni scorsi. Il cardinal Martini diceva che se dovessimo fare l’elenco di ciò che ci manca la lista sarebbe infinita, quindi cominciamo ad apprezzare quanto abbiamo.

Detto questo, ritengo che molto dipenda dalla cultura, che non va intesa come semplice erudizione, ma come coscienza e interiorizzazione che i miei diritti finiscono laddove cominciano quelli altrui, il mio diritto alla pigrizia e a non effettuare la raccolta differenziata finisce laddove comincia il diritto altrui a non vedere l’ingresso di casa lordato da una discarica abusiva. E poi non dimentichiamo l’insegnamento di Papa Francesco: viviamo in una “casa comune” e siamo come in affitto, questa casa non è solo nostra e non lo è per sempre».

Ma la cultura come può diventare motore di un cambiamento e di una rivoluzione “verde”?

«Io ritengo che questo concetto vada legato a quello di bellezza. Se Lodi vanta moltissimi gioielli artistici di valore, dal tempio civico dell’Incoronata al barocco di San Filippo, allo stesso tempo riscoprire la piacevolezza della cura del nostro contesto naturale ci porterebbe ad avere comportamenti più attenti ed eviteremmo forse di rovinare quanto abbiamo attorno.L’assunto chiave è questo: abbiamo il diritto di soddisfare le nostre esigenze, ma senza compromettere la possibilità di soddisfare le esigenze delle generazioni che verranno.

In più io mi aspetto moltissimo dai giovani. Offriamo loro occasioni di acculturamento, perché un giovane che in casa insiste per avere pannelli fotovoltaici o una pompa di calore ottiene certamente un risultato. Ne sono certo».

Si è parlato di giovani, quali investimenti la città dovrebbe fare per loro?

«Uno dei nostri gioielli di archeologia industriale è l’ex Linificio, a parer mio di una bellezza mozzafiato. È una struttura a soli cinque minuti a piedi dalla Cattedrale. Sarebbe uno spazio fantastico per iniziative culturali e come luogo di aggregazione per giovani e non solo. Sempre pensando alle nuove generazioni, mi piacerebbe avere una città a misura di bambino, con delle aree ben attrezzate e che siano oggetto di un’attenzione costante».

Come dovremmo cercare di valorizzare il rapporto con il fiume Adda?

«Abbiamo la fortuna di avere uno dei fiumi più puliti d’Italia.È una risorsa. Io credo che il lungo Adda vada valorizzato tornando alla semplicità e immediatezza di un tempo, quindi puntando a progetti semplici, con costi popolari ma una raffinatezza di contenuti, penso ad esempio ad intrattenimenti musicali, per far vivere quegli scorci di città».

Lodi è a 20 minuti di treno da Milano, come dovremmo guardare alla metropoli?

«Una trentina di anni fa erano comparsi dei manifesti con la scritta “Lodi un’oasi di pace a due passi da Milano”, ecco potremmo trarre vantaggio da questa vicinanza, valorizzando il nostro verde, i nostri gioielli architettonici. C’è una piacevolezza del vivere in provincia che continua ad avere un meraviglioso sapore.

Giorgio Bocca si fregiava di essere “Il provinciale”. Io ritengo che questa dimensione consenta di godere di grandi opportunità, come poter raggiungere in 10 minuti dal centro affascinanti angoli di verde, a patto ad esempio che gli agricoltori continuino ad essere le sentinelle delle nostre campagne, da ingentilire con alberi e attenta cura».

Lodi è al centro di grandi vie di comunicazione. La logistica può essere un fattore di sviluppo per il territorio?

«La logistica crea poco lavoro rispetto agli spazi occupati e alla nocività in termini di emissioni che porta con sé. E poi addio oasi di pace a due passi da Milano. Noi abbiamo uno dei territori più fertili di Italia ed Europa, sarebbe da autolesionisti puntare sulla logistica. E poi abbiamo una grande tradizione dell’agroalimentare, penso alle eccellenze di gorgonzola, panerone, granone e raspadüra. Mi piacerebbe - ma capisco che è un sogno - che il vecchio marchio della Polenghi Lombardo venga rinnovato e possa rinascere in maniera cooperativa riunendo i produttori di latte del Lodigiano».

Quali altre aspirazioni ha per la Lodi del domani?

«Oltre quanto già detto sulla città “verde”, penso a una Lodi solidale, capace di offrire accoglienza e integrazione anche a chi viene da esperienze durissime di guerra, di miseria e di povertà estrema, una Lodi capace di integrare e di accogliere amorevolmente anche chi è abituato a vivere ai margini della società».

Lei nei 1978 da una piccola bottega ha fondato un’impresa di successo, quale consiglio darebbe ad un giovane che si affaccia oggi al mondo del lavoro e magari pensa ad una start up?

«Io ho avuto una fortuna immensa. In questi 42 anni posso dire di non avere mai lavorato, ma di essermi sempre divertito. Certo, bisogna intendersi sul termine divertimento, che significa non contare assolutamente le ore di lavoro, soprattutto nella fase iniziale, che magari dura 30 anni. Io credo che bisogna identificare una passione e trasformare questa passione nella propria attività, allora davvero la fatica e l’impegno svaniscono di fronte al piacere di fare qualcosa che ci entusiasma. Io credo che quella sia la molla principale».

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