Il vaccino dei ricchi e il virus dei poveri

L’editoriale del direttore del «Cittadino» Lorenzo Rinaldi

Secondo i calcoli della Johns Hopkins University alla data del 9 dicembre nel mondo si è raggiunta quota 68.498.598 contagi da inizio pandemia, diffusi in 191 stati. I paesi più colpiti sono gli Stati Uniti (oltre 15 milioni di contagi), seguiti da India e Brasile, rispettivamente 9,7 e 6,7 milioni di casi positivi. Tra i primi 24 stati per numero di contagi ci sono anche Argentina, Colombia, Messico, Perù e Iraq. Sempre alla data del 9 dicembre il numero complessivo di vittime a cui è stato diagnosticato il Covid-19 ha raggiunto quota 1.562.886: a guidare questa triste classifica troviamo ancora gli Stati Uniti (287mila morti, di cui 35mila solo a New York), seguiti da un terzetto di paesi del Sud del mondo, Brasile, India e Messico, che rispettivamente hanno contato 178mila, 141mila e 110mila decessi. Tra i primi 24 stati per numero di morti ci sono anche Argentina, Colombia, Perù, Indonesia, Ucraina, Ecuador.

Nelle stesse ore in cui la Johns Hopkins University aggiornava le classifiche del contagio e della mortalità, un gruppo di organizzazioni riunite nella People’s Vaccine Alliance denunciava che nel Sud del mondo ci sono miliardi di persone che rischiano seriamente di restare escluse dal vaccino anti-Covid, certamente per tutto il 2021. I Paesi ricchi, la maggior parte dei quali si trova nella parte Nord del pianeta, si sono infatti già assicurati dosi pari a tre volte quelle della loro popolazione per le vaccinazioni del prossimo anno. Al momento risulta che il 53 per cento del totale delle dosi acquistate o prenotate a livello globale sia destinato a un gruppo di paesi nel quale vive solo il 14 per cento della popolazione mondiale. Un affresco amaro, ma che non deve stupire: se si escludono i vaccini cinesi e russi, sui quali le autorità mediche europee e statunitensi nutrono riserve, i restanti sono studiati e prodotti da aziende dei paesi ricchi, che hanno investito miliardi di dollari in pochissimi mesi per accorciare i tempi. Vista l’eccezionalità della situazione si sono addirittura accollate il rischio (non banale per una impresa) di avviare la produzione mentre era ancora in atto l’ultima fase della sperimentazione, in modo che se tutto fosse filato liscio, i vaccini sarebbero potuti arrivare sul mercato europeo e americano tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021.

Ad oggi dunque, come reso noto dalla People’s Vaccine Alliance, tutte le dosi del vaccino Moderna e il 96 per cento di quelle prodotte da Pfizer-BioNTech sono state acquistate da paesi ricchi. Il consorzio Oxford-AstraZeneca si è invece impegnato a fornire il 64 per cento delle dosi ai paesi in via di sviluppo, ma questo non avverrà nei prossimi mesi, visto che per il 2021 la stima è che possa rifornire al massimo il 18 per cento della popolazione mondiale. “Secondo l’attuale trend - segnala People’s Vaccine Alliance - siamo di fronte a un’enorme disuguaglianza nell’accesso al vaccino, che è il principale strumento per debellare la pandemia”. Oxfam, una delle organizzazioni che fa parte della People’s Vaccine Alliance, ha pertanto chiesto alle case farmaceutiche che lavorano sui vaccini di mettere in condivisione informazioni utili, cosa che già aveva fatto l’Organizzazione mondiale della sanità, ma che purtroppo difficilmente avverrà perché si tratta di dati che valgono miliardi.

Lo scorso 19 settembre Papa Francesco, ricevendo in udienza i membri della Fondazione Banco Farmaceutico in occasione del ventennale della nascita, aveva osservato che «sarebbe triste se nel fornire il vaccino si desse la priorità ai più ricchi, o se questo vaccino diventasse proprietà di questa o quella nazione, e non fosse più per tutti. Dovrà essere universale, per tutti». Un appello che, alla luce dei dati della People’s Vaccine Alliance, oggi va rilanciato più forte che mai.

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